Deirdre

Posted in Cronache, Racconti with tags , on 28 novembre, 2008 by solidtom

La Foresta ha cambiato rapidamente aspetto.
Dopo Druid’s Grove, seguendo il cammino tracciato per loro da Scarloc, Sylar e Gandrell hanno attraversato la zona centrale della Grande Foresta. Alberi contorti e sottobosco intricato hanno lasciato il posto ad una vegetazione ancora più imponente e impressionante. I tronchi degli alberi svettano come colonne di una immensa cattedrale dal terreno verso il cielo. Impalcature imponenti di rami filtrano la luce del sole avvolgendo l’atmosfera in una verde penombra. Infine, il terreno stesso sotto i loro piedi cambia: i dislivelli cominciano ad aumentare, ampie fessure e crepacci si aprono d’improvviso, insidiosi, mascherati da arbusti spinosi. Roggie sussurranti scorrono fra quei crepacci. Una nebbia sottile avvolge il terreno rendendo difficile persino decidere dove posare i piedi.

“Ci stiamo avvicinando al bosco di Turlang” sentenzia Scarloc. “La foresta diviene strana e imprevedibile. Aspettiamoci da un momento all’altro un segnale, un avvertimento…”
Sono trascorsi due giorni e una notte da quando hanno lasciato Druid’s Grove, e hanno sempre cercercato di mantenere la direzione est-nordest, per quanto possibile. Gandrell è stanco e silenzioso, Sylar teso e smanioso di vedere qualcosa, qualunque cosa che testimoni la presenza di quella fantomatica entità chiamata Turlang di cui tutti parlano, che tutti temono e rispettano, manifestarsi.

Scende la notte, ed è nuovamente ora di accamparsi. Anche quest’oggi, non hanno incontrato nulla, nessun pericolo né alcun indizio che siano sulla giusta strada. Seguono il sentiero finché possono, nonostante l’oscurità, che comunque non è un problema per nessuno di loro.
D’un tratto, spuntano fuori dalla vegetazione in un’ampia radura. Davanti a loro gli alberi della foresta sembrano formare un muro impenetrabile, un tutt’uno con il sottobosco. Scarloc e Sylar perlustrano davanti a loro in cerca di un passaggio che non devi troppo dalla direzione che stavano tenendo. Ma è la voce di Gandrell a richiamare la loro attenzione.
“Il sentiero da cui siamo arrivati… Dov’è finito?”

Si voltano e tornano sui propri passi: il giovane mistico non ha nello spirito d’osservazione la sua arma migliore. Tuttavia questa volta sembra aver ragione: nonostante abbiano percorso solo pochi passi nella radura, non sono in grado di ritrovare il sentiero da cui sono arrivati. Spesso nella foresta accade, è sufficiente che la vegetazione si richiuda dopo il passaggio e non si è in grado di riconoscere lo stesso luogo a pochi metri di distanza. Eppure stavolta è diverso, non è di questo che si tratta.
Scarloc opta per un metodo infallibile: segue le tracce che hanno lasciato a ritroso.
“Venite a vedere! Subito!”
In un attimo gli altri due sono al suo fianco.
“Ecco le nostre orme le vedete? Finiscono dritte sotto le radici di questo albero!”
“Vuol forse dire che questo albero non era qui, prima?”
“Non so spiegarlo. Di certo noi siamo passati da qua un attimo fa… ed orala strada è chiusa!”

Un sincero sgomento coglie i nostri tre. La strada innanzi a loro è bloccata come pure quella alle loro spalle. Fuggire significherebbe aprirsi la strada a colpi di spada attraverso una coltre di vegetazione fitta come un muro.
“Siamo in TRAPPOLA!” ringhia Scarloc. In un attimo la potente spada a due mani incisa di rune compare fra le sua mani. Sylar ha già in pugno la sua arma a due lame ma non dice una parola: affina i sensi in attesa che il qualcosa si manifesti.

Non devono attendere a lungo.
Un battito d’ali sopra le loro teste, fra le fronde degli alberi più alti. Una grande creatura alata oscura le stelle e la luna nel cielo notturno discendendo con rapidi cerchi verso di loro, nella radura. La mente di Sylar per un attimo va in cortocircuito, assalita dai ricordi di un episodio della giovinezza. La prova d’iniziazione all’età adulta, la caccia all’uovo di viverna. La prima volta che ha tradito. La prima volta che ha avuto paura di morire.
Ma non è un drago o una viverna la creatura che cala silenziosa su di loro. L’aspetto è meno pericoloso, anche se forse non meno inquietante. Un gigantesco, maestoso gufo dalle piume candide come la neve e dai vitrei occhi d’oro e ambra. Si posa sui rami sopra le loro teste, ben lontano dalla portata della armi dei due guerrieri. Li fissa con uno sguardo pieno di cosapevolezza e sensienza non umane, ma neppure animali.
Un attimo dopo spicca di nuovo il volo planando giù dal ramo, diretto verso il suolo. Ma non ha le stesse sembianze quando tocca il terreno. Ha trasfigurato con una velocità impressionante, un un nugolo di piume che divengono carne, in un battito d’ali che divengono braccia. Ora, di fronte ai tre increduli spettatori, si erge al centro della radura una creatura dall’aspetto femminile. Gli occhi sono ancora quelli del gufo, almeno nel colore, e i capelli sono piume bianche. Le lunghe gambe affusolate terminano con artigli di rapace. Una creatura insieme di una bellezza e di una maestosità impressionanti.
Li fissa con lo stesso sguardo inquisitivo, attendendo un segnale o una parola.

Come sempre, è Gandrell a parlare per primo.
“Siamo viandanti, forestieri. Sappiamo che questo è il territorio di Turlang. Chiediamo solo il permesso di attraversarlo. Non arrecheremo nessun danno alle creature e alle cose, se non per quello che ci è strettamente necessario a sopravvivere…”
La creatura inclina la testa in modo curioso. Non da segno di aver inteso le parole del mistico.
“Lascia provare me” dice Scarloc. “Proverò nella Lingua dei Boschi.”
Gandrell e Sylar non possono far altro che attendere mentre il mezzelfo si rivolge alla strana creatura in un idioma mai udito prima, che sembra quasi il fruscìo del vento fra le fronde, il sussurro delle acque che zampillano dalle rogge nascoste. Questa volta la creatura mostra interesse. Risponde nello stesso idioma, con una voce profonda e ultraterrena che nessuno si aspettava.
Scarloc si rivolge ai compagni: “Ha detto che riferirà quanto gli abbiamo riportato…”
Subito dopo, la creatura balza verso l’alto e di nuovo, in un battito d’ali, si trasforma nella forma alata e vola via verso il cielo notturno.
“Cosa dobbiamo aspettarci?” chiede Gandrell.
“Non so. Sicuramente Turlan manifesterà la sua volontà a breve. Possiamo solo aspettare…”
“Attenderemo fino all’alba” soggiunge Sylar. “Poi proseguiremo, con ogni mezzo. E vediamo se questo Turlang deciderà di ostacolarci…”
Ciascuno di loro, persino lo spavaldo mezzodrow, spera che non sia così che andranno le cose.

L’indomani mattina, all’alba, è Scarloc a svegliare il gruppo.
“Guardate!” dice. “Un sentiero si è aperto di fronte a noi!”
“Un segnale” commenta Gandrell. “Possiamo proseguire…”
E si rimettono in marcia.

Alcune ore dopo, procedono ancora nel silenzio innaturale di una maestosa foresta gigante. Hanno l’impressione di trovarsi in uno dei lughi più antichi del Faerun. Un luogo dove le rocce e gli alberi sono stati testimoni del passaggio di creature potentissime e antichissime, quando ancora le Potenze calcavano il suolo di Toril.
D’improvviso, alle loro spalle e sopra le loro teste, qualcosa si muove fra i rami più alti degli alberi. E’ da un po’ che hanno l’impressione di essere osservati da qualcuno, o qualcosa… Qualcuno che si muove nascosto fra le fronde e il sottobosco, qualcuno molto veloce e silenzioso. Ora ne hanno la prova.
Dall’alto degli oltre trenta metri che li separano dall’ultima impalcatura di rami dei giganteschi latifoglie scendono verso il suolo numerosi viticci, o corde. Appesa a ciascuno di essi vi è una figura umanoide, avvolta in vesti mimetizzate con sterpi e fronde. Si fermano a pochi metri dal suolo. Li hanno circondati in un attimo. Sylar Gandrell e Scarloc non tentano neanche la fuga. Tengono pronte armi e magia e attendono di capire cosa accadrà.

Non sono elfi quelli che li hanno circondati.
Sono donne, o quantomeno esseri umanoide dalle parvenze femminili. Molto femminili.
Grandi occhi dai colori dei fiori, morbidi capelli serici, forme generose che traspaiono in maniera fin troppo evidente da “vesti” di viticci e foglie. Visi dolcissimi e sensuali, e sembianze angeliche a nascondere il pericolo. Sono cresture che possono stregare con un solo sguardo un uomo, e trapassare il suo cuore con uno strale d’amore e passione… oppure con una freccia vera e propria, di quelle che portano alla vita, spacciandolo in un attimo. Abitanti della foresta più profonda… un tutt’uno con la foresta stessa. Spiriti quasi elementali e insieme carne e sangue… Driadi!

Mentre la maggior parte di loro – saranno più di una dozzina – rimane sospesa a mezz’aria, la più vicina di loro si lascia cadere al suolo con agilità eccezionale, leggera e leggiadra come una piuma. E’ la più bella di quelle creature bellissime: capelli biondo miele ricciuti che ricadono lunghissimi sulla schiena, intrecciati con fiori di mille colori; bocca carnosa e occhi di un azzurro micidiale. Porta sulla schiena un corto arco di legno e una faretra di frecce, e in una mano stringe una lunga sottile lancia da caccia.
Muove passi sicuri verso i tre forestieri che hanno un aspetto tutt’altro che rassicurante, apparentemente senza mostrar segno di timore o paura.
“Benvenuti, viandanti” si rivolge loro con voce flautata come il canto di un usignolo, parlando in elfico. “Vi do il benvenuto nella Foresta Profonda a nome di tutte le mie sorelle. Il mio nome è Deirdre.”

“Siamo solo di passaggio” spiega Gandrell. Le driadi li hanno circondati e già con sorrisi e risate maliziose si sono avvicinate a loro da ogni parte. Sylar non abbassa la guardia: ha tirato su il cappuccio e nasconde il volto, una sana abitudine che mille volte lo ha salvato dall’essere aggredito. Scarloc sembra invece più a suo agio. Probabilmente sottostima il pericolo: quelle creature leggiadre non sembrano veramente pericolose. I loro gracili corpi e le loro piccole armi non sembrano in grado di impensierire i due robusti combattenti coperti di cuoio e acciaio. Ma non sono le frecce e le punte di lancia che preoccupano Sylar…
“Di passaggio? E perché invece non fermarvi qui? E’ un luogo meraviglioso questo… almeno per riposare un po’… sarete stanchi per il lungo viaggio…”
“Certo, lo siamo. Ma il nostro viaggio non è ancora giunto al termine. Per questo motivo non possiamo accettare la tua generosa offerta. Ci fermeremo giusto il tempo di rifocillarci. Dobbiamo proseguire…”
“Lasciatevi il tempo di decidere, piuttosto. Siate nostri ospiti, almeno per stasera…”
Gandrell rimane silenzioso un istante cercando il consenso nello sguardo dei suoi compagni. Subodora un possibile pericolo, e teme giustamente le malìe di quelle creature dall’aspetto così attraente ma dalla mentalità così diversa dalla loro.
“Accettiamo l’ospitalità” dice alla fine. “Grazie molte.”
“Bene! Stasera festeggeremo il vostro arrivo forestieri!”

“Perché hai detto loro che avremmo accettato? Non mi fido di loro…” Sylar approfitta di un momento di distrazione delle driadi per sussurrare queste parole alle orecchie di Gandrell.
“Non è il caso di contrariarle subito. Mi danno l’impressione di essere creature assai volubili. Meglio vedere di assecondarle. Forse possono esserci utili. Magari Maristarre le ha incontrate…”
Poi si rivolge a Deirdre. “Stiamo cercando una persona in realtà… il nostro viaggio ha uno scopo ben preciso.”
“Una persona dici? E chi mai potreste cercare in questo luogo se non Deirdre e le sue sorelle?” ammicca maliziosamente la bellissima driade.
“Una forestiera, come noi. Una giovane donna… Noi seguiamo le sue tracce…”
“Una giovane donna che viaggia da sola? Se di qui passano pochi forestieri, ancor meno sono donne sole…”
“Io non ho mai detto che sia sola…”
“No? Devo averlo immaginato io…” sorride ancora.
“Sai dirci qualcosa di lei, quindi? L’hai incontrata o hai notizia di qualcuna delle tue… sorelle… che l’abbiano avvistata?”
“E’ presso di noi. Anche aveva una destinazione, ed ha deciso invece di fermarsi…”
“Cosa? Mi dici che questa donna è vostra ospite? Capelli rossi come il fuoco… si chiama Maristarre…”
“Non è nostra ospite. Vive con noi, adesso.”
“Puoi portarmi da lei?”
“Senz’altro lo farò. Verrete tutti, e sarete nostri ospiti…”

Gandrell è comprensibilmente attonito. Non sa nemmeno lui se credere o meno alla creatura dei boschi. Finalmente sembra che la loro ricerca sia giunta a buon fine. Non sa spiegarsi molte, troppe cose, ma deve fidarsi per forza di Deirdre.
Si rivolge ai suoi compagni. “Avete sentito?”
“Non ci speravo davvero più” commenta a bassissima voce Sylar. “Vedremo se davvero è loro ospite, o prigioniera. Verrà via con noi, oppure sarà peggio per lei…”
“Aspetta, aspetta. Niente fretta. Possiamo giocarcela senza ricorrere allo scontro. Voglio innanzitutto assicurarmi che sia lei, che sia viva, che sia in retti sensi. Parlare con lei.”
“Andiamo…”
“No. Non possiamo andare tutti quanti laggiù. Se poi si trattasse di una trappola? Se volessero usare qualche magia su di noi? Se volessero costringerci a rimanere ospiti per sempre?”
“C’è questa eventualità. Sarà peggio anche per loro, allora…”
“Aspetta, c’è un’altro modo.”
“Cosa proponi?”
“Andrò io solamente. Dirò loro che voglio parlare con lei prima, e poi voi ci raggiungerete. Rimarrete qui e attenderete il mio ritorno, o un segnale. Se non dovessi far ritorno… beh… conto su di voi per non restare per sempre ospite di queste bellissime ospiti. O per vendicare la mia morte.”
“Puoi contarci, infatti.”
Anche Scarloc è d’accordo.
Si tratta solo di convincere Deirdre.

La cosa si rivela più facile del previsto.
Gandrell ha capito di avere un qualche ascendente sulla bella ninfa dei boschi. Dal canto suo, Deirdre è davvero una creatura affascinante non solo per la bellezza fisica, ma anche per i modi spontanei e maliziosi al tempo stesso. Gandrell non è del tutto immune a questo fascino, né vorrebbe esserlo.
Le driadi hanno lasciato solo Scarloc e Sylar e si sono dileguate nella foresta. Deirdre ha deciso di percorrere la strada fianco a fianco con Gandrell.
“Sei molto bello” lo stupisce d’improvviso.
“Uh… beh… grazie…”
“Non ho visto mai un uomo della tua specie, ma tu sei il più bello dei tuoi tre compagni…”
“…”
“Mi piaci. Sono innamorata di te.”
Gandrell a stento trattiene un sorriso. La spontanea ingenuità di queste creature è qualcosa cui non era preparato.
“Sì, beh… anche tu sei bellissima, sicuramente. Ma noi umani ci innamoriamo in maniera diciamo… diversa. Ci serve più tempo per capire di essere o meno innamorati di una persona…”
“Non capisco. Ti piaccio, dici. Allora perché non mi ami?”
“Beh, dovremmo prima conoscerci meglio. Certo che mi piaci, a quale uomo non piaceresti?”
“Allora conosciamoci meglio. Vieni con me. Voglio mostrarti un luogo meraviglioso…”

Gandrell segue Deirdre nel folto della foresta, deviando dal sentiero che stavano seguendo.
Lei lo tiene per mano e saltella di fronte a lui con l’agilità di un cerbiatto. Spesso si volta a guardarlo e sorride. Il suo viso bellissimo si illumina di una luce quasi soprannaturale. Gandrell è confuso, e teme di star per perdere il controllo della situazione. E’ una cosa che normalmente odierebbe. Ma non ora. Non può e non vuole resisterle.
Giungono sulle rive di una polla d’acqua purissima. Una piccola cascata cristallina esce dalle rocce coperte di muschio e si getta nell’acqua sottostante. Fiori colorati crescono sulle rive. Farfalle multicolori volano attraversando drappi di luce che scendono dalle fronde degli alberi. Sì, quel luogo è davvero meraviglioso. Ma la sua bellezza non è nemmeno paragonabile a quella di Deirdre. Lei gli sorride ancora, gettandogli le braccia al collo.
“Non è bellissimo qui, mio amato?”
“Davvero bellissimo… e tu sei bellissima…”
Si baciano appassionatamente.

Ritorno e ripartenza

Posted in Cronache, Racconti with tags , , , , on 28 ottobre, 2008 by solidtom

L’aria fresca della notte e l’oscurità accolgono i nostri al ritorno dal loro viaggio. Non sono sicuri di dove si trovino, se nella Grande Foresta o altrove nel Faerun, ma l’unica cosa di cui sono sicuri è che sono tornati indietro. Gli odori… una sensazione dimenticata durante i lunghi giorni passati confinati nel Semipiano della Notte. Odore di erba, di umidità, di cose vive.

Gandrell, Sylar e Scarloc alzano gli occhi al cielo a guardare le stelle sopra il loro capo. Brillano come la notte in cui hanno varcato la soglia del circolo di pietre, hanno attraversato il portale e sono stati catapultati in una realtà che sembra ora essere solo un brutto incubo.

I ricordi degli orrori e delle insidie di quel luogo dimenticato dagli dèi ancora affollano la mente di Gandrell. Il silenzio innaturale, il cielo sempre avvolto nel buio del crepuscolo senza stelle, la brezza sottile proveniente da chissà dove, l’orizzonte piatto e inquietante, e spettrali torri di cristallo magico che sorgono dal nulla nel mezzo di un oceano mistico abitato da mostruose presenze. E’ lì che hanno affrontato magie potentissime, morti viventi e spettri antichi, una legione di guerrieri drow al comando di un’entità femminile di nome Savera dalle sembianze di drow ma che nascondeva ben altra demoniaca natura, e infine la minaccia di Mourel Duskwalker, Colui Che Cammina Al Crepuscolo. Un Elfo delle Stelle, una volta, che aveva tradito la sua gente tentando di aprire la via al semipiano idilliaco di Sildeyuir in cui vivevano in volontario esilio dalle guerre e brutture di Toril ad una specie di orridi invasori extraplanari. Ed era stato dalle sue stesse genti condannato ad un eterno esilio in una scheggia del semipiano originario, staccata con un sortilegio e lasciata a vagare nel multiverso. Quella scheggia era divenuta il Sempiano della Notte, e il palazzo un tempo principesco di Mourel la sua stessa prigione e tomba, il Sepolcro del Crepuscolo. Mourel, impazzito per essere stato per sempre imprigionato in quel luogo senza via di fuga, con l’aiuto del suo non meno folle apprendista Kijal Stardancer s’era fatto trasformare in qualcosa… qualcosa di non vivo, e di non morto allo stesso tempo. Solo la mente folle di Mourel era sopravvissuta, insieme al suo cervello, conservato in una giara. Un triste e macabro simulacro di quello che un tempo era stato un potente Mentalista.

Ricorda, Gandrell, lo scontro con Mourel nella sua torre infestata di morti viventi, le sue lusinghe per cercare di aver la “vita” salva di fronte al pericolo di essere distrutto. La delusione per aver scoperto che Maristarre non si trovava confinata nel semipiano, che non aveva mai varcato quel portale, che quel viaggio era stato per loro un rischio inutile.
Ricorda le menzogne di Mourel, il suo prevedibile tradimento. Aveva tentato, Gandrell, di dar fiducia a quella creatura patetica e triste, dopo aver “toccato” mentalmente gli abissi orrendi della sua follia ed esserne rimasto sconvolto. Forse pensava, Gandrell, che così avrebbe potuto riscattarsi della spietatezza mostrata troppo di frequente negli ultimi tempi, dando a Mourel l’opportunità di riprendersi parte del suo onore perduto, impegnando in battaglia mentale la terribile Savera mentre loro sarebbero fuggiti con la chiave del portale recuperata dopo strenua battaglia contro un temibile golem guardiano. Invece, le sue speranze erano state tradite dal malvagio, corrotto e irrecuperabile Mourel. Solo per la prontezza di Scarloc avevano evitato di essere condannati a rimanere intrappolati per sempre nella Tomba del Crepuscolo, perdipiù in compagnia di Savera e dei suoi guerrieri drow. Invece, alla fine erano stati loro tre ad attraversare il portale e a far ritorno nel Faerun, condannando all’esilio eterno Savera e i suoi seguaci, dopo aver spacciato per sempre Mourel.

Sempreché si trovino davvero nel Faerun.
Un rapido sguardo intorno a sè, e gli occhi attenti di Scarloc e di Sylar riconoscono, oltre al cerchio di pietre, la morfologia della foresta ed il cielo stellato. Sono tornati indietro al punto di partenza, ma non sanno in quale tempo. Nel Semipiano della Notte il tempo scorre alterato, forse più lento forse più veloce, e non sono in grado di dire quanto tempo sia passato nel Primo Materiale da quando hanno attversato il portale a quando hanno fatto ritorno.

“Dalle stelle si direbbe che è passato pochissimo tempo” sentenzia Scarloc.
“Ma potrebbero essere invece passati anni… e noi semplicemente siamo “tornati” nello stesso periodo…” soggiunge Gandrell per frenare gli entusiasmi.
“Comunque, quello che importa è che siamo tornati indietro, in un modo o nell’altro. Sempre meglio che rimanere imprigionati per sempre in quel luogo di tenebra.”
“C’è un modo molto semplice per scoprirlo” li interrompe Sylar con il suo solito pragmatismo. “Dirigiamoci verso Druid’s Grove. Potremmo essere lì fra tre ore se ci muoviamo.”
“E sia, un altro piccolo sforzo allora…”

Tre ore dopo, i nostri sono di nuovo a Druid’s Grove.
Nonostante sia notte fonda, gli elfi sono attenti e vigili, e le vedette li avvistano e raggiungono prima ancora che abbiano messo piede nel perimetro interno. La prima cosa che chiedono agli elfi, che comprensibilmente sono stupiti della domanda, è quanto tempo sia passato dalla loro partenza.
“Una sola notte”, è la confortante (e allo stesso tempo sconcertante) risposta.
Finalmente al sicuro dopo la marcia notturna, la fuga dalla Tomba del Crepuscolo e tutti i pericoli affrontati, Sylar, Gandrell e Scarloc hanno solo la forza di rifocillarsi con cibo e acqua fresca prima di piombare in un sonno profondo e ristoratore. L’indomani decideranno il da farsi.

La luce del sole ha appena iniziato a filtrare fra le fronde della foresta, quando i nostri riprendono coscienza. Il primo pensiero di Gandrell è per la loro missione. Dove dirigeranno ora? Dove mai potrà essere finita la donna sulle cui tracce si sono messi da Silverymoon? Sembra nuovamente svanita nel nulla, inghiottita dalle ombre della Grande Foresta.
Di nuovo, Scarloc viene interpellato.

“…Mi disse solo che cercava delle rovina ad est. Potevano essere bene le rovine di quel cerchio di pietre, là dove abbiamo attraversato quel portale…”
“A questo punto, lo escluderei definitivamente” conclude Gandrell. “Molto probabilmente, cercava qualcos’altro… altre rovine, più ad est.”
Il Mistico fa ricorso a tutte le sue conoscenze. Ricorda fra l’altro degli eventi occorsi prima di giungere a Druid’s Grove, dell’assedio di Sundabar da parte dell’orda dell’Orso Blu.
“Hellgate Keep!” Esclama d’improvviso.
Sylar gli rivolge uno sguardo incredulo e al tempo preoccupato.
“Vuoi dire che quella pazza sta dirigendosi laggiù?”
“Sono le uniche rovine ad Est… ai confini della Foresta. E poi, tutto combacia… il mio sesto senso mi dice che tutti gli eventi recenti cui abbiamo assistito, se ben ricordi, conducono lì.”
“Questo è un bel problema…”
“Temo…”

Scarloc li interrompe.
“Non so di cosa stiate parlando, se non vagamente. So che al limitare della Foresta, nel territorio di Turlang, vi sono delle antiche rovine maledette, dove un tempo si annidava un gran male, e poco più. Però penso che dovremmo conferire con Radje di nuovo. Voglio parlargli di quel che abbiamo affrontato e della minaccia del Duskwalker che è stata sventata. E forse potrà suggerire qualcosa che aiuti anche la vostra ricerca…”
“Mi pare una buona idea. Ho anch’io qualche domanda per lui…” lo asseconda Gandrell.

Trovano Radje nello stesso posto dove l’hanno lasciato, nella nicchia fra i rami, assorto in meditazione. Apparentemente non ha mai cambiato neppure posizione. Come al loro primo incontro, l’anziano druido cieco sembra percepire la loro presenza prima che ciascuno di loro abbia aperto bocca.
“Bentornati fratelli”, li accoglie.
“Il Duskwalker non è più una minaccia per la nostra comunità e per la Foresta”, sentenzia poi prima ancora che ciascuno di loro possa introdurre l’argomento. “Sento che è così. Avete reso un grande servigio a Druid’s Grove e non solamente. Io vi ringrazio.”
“E’ così, druido. La minaccia di Colui Che Cammina Nel Crepuscolo è sventata.” Conferma Gandrell.
“Ma c’è però un’altra creatura, coi suoi seguaci, che ora si annida nel regno del Duskwalker” si introduce Sylar. “Una creatura di nome Savera. Potrebbe essere una nuova minaccia…”
Gandrell si volge verso il compagno. Ha capito che Sylar non è tipo da lasciare conti in sospeso alle proprie spalle. Una buona abitudine per un drow. E sebbene Savera sia ormai meno che una minaccia per loro, e probabilmente lei e i suoi drow siano destinati a morire d’inedia o quantomeno a non poter mai più fuggire dall’esilio nella Tomba del Crepuscolo, la prudenza non è mai troppa: Mourel Duskwalker è stato la dimostrazione del fatto che il pericolo non è mai allontanato abbastanza, se non quando completamente sradicato.
“E’ una legge universale della Natura” sentenzia Radje in tutta risposta. “Un animale muore o perde la tana. Un’altro animale la occupa. Ma non sento una minaccia imminente per la mia gente, e pertanto siate voi a decidere il da farsi.”
Un rapido sguardo fra Gandrell e Sylar e appare evidente ad entrambi che nessuno dei due desidera ora varcare di nuovo il portale per andare ada frrontare un pericolossissimo e vendicativo avversario che li attende dal lato opposto. Posseggono la chiave astrale, dopotutto, possono tornare indietro a saldare i conti quando vogliono, se dovesse essere necessario.
“Forse in un altro momento.” Conclude Gandrell.
“Il mio compito è dunque terminato qui?” Chiede Scarloc.
“Per ora, la minaccia è sventata. Druid’s Grove vi è grato.”
La risposta è sufficiente.

Poco dopo, i nostri sono riuniti in conciliabolo per decidere sul da farsi.
La decisione di puntare verso Hellgate Keep è presa, ma bisogna tracciare un percorso che permetta loro di seguire quello probabile di Maristarre. E quel percorso sembra passare inevitabilmente per i territori di Turlang. Una sfida di certo non priva di pericoli.
“Posso guidarvi fin lì, e forse attrraverso il territorio di Turlang” dice Scarloc. “Ma non posso garantirvi che lui vorrà lasciarci passare. E’ lui il signore incostrastato della Foresta, lì. E noi dovremo piegarci alla sua volontà, o soccombere.”
“O convincerlo…” soggiunge Gandrell
“O raggirarlo…” conclude Sylar. “Tu portaci lì. Poi penseremo al da farsi.”
“Vi porterò. Il mio destino sembra puntare laggiù del resto. La spada ammazzadiavoli di mio padre, l’arma del mio totem tribale… ci sarà pure un motivo per il quale la brandisco, ora, e per il quale ho dovuto affrontare le Prove del Pozzo di Beorunna.”

Sylar e Gandrell non sanno molto di questo e dei trascorsi del giovane cacciatore e guerriero. Sanno solo che egli, sebbene un po’ avventato e ingenuo, possiede un cuore forte e temerario, ed hanno avuto modo loro stessi di valutare la sua forza e ferocia in battaglia. La spada a due mani che reca con sè è sicuramente un’oggetto antico ed estremamente potente. L’hanno vista, avvolgersi di fiamme e bruciare morti viventi, demoni e creature immonde nella Tomba del Crepuscolo, e senza l’aiuto di Scarloc probabilmente non sarebbero mai sopravvissuti al viaggio extraplanare.

La decisione è presa: partiranno alle prime luci dell’alba. Scarloc lascia Sylar e Gandrell a rimuginare, mentre si occupa dell’equipaggiamento e delle provviste per la spedizione.

“Hellgate Keep… una bella impresa. Cosa sai di quel luogo Gandrell?”
“Non molto più di quel che ti dissi al tempo. Le rovine sono quanto resta di una fortezza elfica risalente ad epoche antichissime, al reame di Ascalhorn. Gli elfi furono corrotti dalle loro magie, evocarono i demoni Tanar’ri, e questi presero il controllo della cittadella. Quel luogo è stato per duemilacinquecento anni un bastione del Male nelle terre del nord, uno dei luoghi più pericolosi del Faerun. Molte volte in molti hanno tentato di porre fine ai giorni della stirpe di demoni che lo governava, ma senza successo. Infine, cinque anni or sono, un gruppo di Potenti, guidati da Khelben Astanera Arunsun di Waterdeep, usò un artefatto, il Globo di Mythantar, per distruggere definitivamente le rovine. Il potere dell’oggetto scavò una voragine nella montagna, scagliando la fortezza e i suoi stessi abitanti in un esilio extraplanare non diverso da quello toccato a Mourel Duskwalker. Quel che rimane ora è un luogo di magia selvaggia, misteriosi fenomeni paranormali e misteri… e tesori sepolti che in molti cercano, trovando la morte laggiù…”
“C’è dunque ancora qualcosa fra quelle rovine? Qualcosa di quell’antico male?”
“E’ ragionevole supporre che qualcosa sia sopravvissuto…”
“E chi sono gli stolti che si recano laggiù? Davvero lo fanno per la brama di tesori e ricchezze?”
“Perlopiù. Ma non si ha notizia di nessuno che in tempi recenti sia riuscito ad avvicinarsi, né tantomeno ad esplorare le rovine e tornare indietro…”
“E c’è qualcosa anche per te laggiù, vero amico mio?”

Gandrell ha un brivido improvviso.
Non riconosce la voce di Sylar. Si volta a guardarlo e incontra uno sguardo innaturale, penetrante come non mai. Gli occhi del mezzodrow hanno un color porpora e una strana luce, e la sua espressione tradisce una supponenza che va oltre l’abituale sarcastica malizia del suo compagno.
“C-Cosa? Come hai detto?”

“Come ho detto cosa?” risponde Sylar. Ha visto per un attimo l’espressione normalmente impenetrabile di Gandrell tradire sbigottimento e paura. Ha sentito di avere avuto tante volte lui stesso quell’espressione, durante le proprie visioni.
“Che succede, Gandrell?”
“Niente. Nulla. Ho detto: non saprei”.
“Non hai detto questo. Cosa hai visto Gandrell?”
“Nulla… Non so…”
“Certo che lo sai invece! Hai visto qualcosa di strano in me? Ti sono sembrato strano? Hai pensato di udire parole che non ti aspettavi? Parla!”
“Io… non…”
“Amico, fidati. So di cosa si tratta. Mi è successo altre volte, ricordi?”
“Forse.”
“Non credevo potesse farlo anche a te. Ma dovevo sospettarlo.”
“Ma chi è? Cos’è?”
“Non sono sicuro neppure io. Il suo nome è Bishop. Forse. Ed è potente. Molto potente.”
“Cosa vuole da te? Da me?”
“Credimi, Gandrell, se lo sapessi non esiterei a dirtelo. Ma ho imparato a non domandarmelo troppo, e a non contrariarlo troppo. Prima o poi dovrà rivelarcelo.”
“Che potere ha?”
“Può farti molto male. Può popolare i tuoi sogni trasformandoli in incubi. Può piegare la tua mente al suo volere.”
“Capisco. Credo voglia che mi rechi laggiù. Ad Hellgate Keep.”
“Non mi stupisce. Sto scoprendo che praticamente tutto quello che ho creduto di voler fare negli ultimi tempi, in realtà l’ha voluto lui. Forse voleva che ti incontrassi. Non so… Possiamo solo aspettare.”
“Concordo. Inutile preoccuparsene ora.”

Alle prime luci dell’alba, tre viandanti lasciano nuovamente il tranquillo riparo di Druid’s Grove.
Sono diretti ad est, attraverso la Grande Foresta, attraverso il territorio di Turlang. Verso Hellgate Keep, e nuove avventure.

Ellissi narrativo

Posted in Cronache, Racconti, Tecnici with tags on 14 ottobre, 2008 by solidtom

Sono intercorse diverse sessioni di gioco dall’ultimo resoconto.
Durante queste sessioni, oltre ad un cambio di sistema di gioco (vedi post precedente), i nostri eroi hanno affrontato un viaggio interdimensionale e si sono ritrovati alle prese con una nuova mortale sfida nella Tomba del Crepuscolo, in un semipiano di esistenza in cui un mago non-morto Elfo delle Stelle era stato intrappolato in epoche lontanissime dalla sua stessa razza dopo essersi reso responsabile dell’invasione del Semipiano di Sildeyuir dove gli stessi Elfi delle Stelle s’erano rifugiati in esilio volontario dal Faerun da parte dei Nilshai, una razza di malvagi invasori extraplanari.

Il motivo per il quale non sono state dettagliate è stata semplicemente la mancanza di tempo. Ho diversi drafts da parte in attesa di revisione e completamento, e quando saranno pronti li pubblicherò tutti insieme. Però, per non perdere la continuità del racconto nel frattempo, lo ricominciamo da quando i nostri sono riemersi dal portale nella Grande Foresta, la scorsa sessione.

From RM to D&D

Posted in Tecnici with tags , , , , , on 14 ottobre, 2008 by solidtom

Il passaggio è stato doloroso ma necessario.
Le sessioni sono più veloci e soprattutto c’è meno lavoro per me.
E, nonostante i timori iniziali, la 3.5 scorre abbastanza bene, almeno per il momento.

NB: alcune modifiche ai personaggi e al loro concept di base sono state necessarie, specialmente per Sylar, il quale è passato da due spade alla spada a due lame, per comodità.
In attesa di un post con le statistiche dei personaggi complete per la 3.5: Gandrell è diventato Wiz3/Psi3/Cerebramancer1, Sylar un Rgr3/Pwr4

Candids

Posted in Uncategorized with tags , on 18 settembre, 2008 by solidtom
Due brutti ceffi

Due brutti ceffi

Il tavolo da gioco

Il tavolo da gioco

Druid’s Grove

Posted in Cronache, Racconti with tags , , on 9 settembre, 2008 by solidtom

E’ ormai quasi mezzodì all’ombra verdeggiante della Grande Foresta.
Il freddo mattutino ha lasciato il posto ad una umida frescura. Lame di luce attraversano la volta degli alberi, altissima come una navata di una cattedrale lussureggiante e irraggiungibile, disegnando mosaici strani sul terreno coperto di foglie morte ed enormi radici.
Il silenzio della foresta è solo apparente, animato da mille fruscii.

Sylar e Gandrell seguono dappresso Ranulf, che segue a sua volta il segugio Tarcil.
Hanno lasciato il villaggio di taglialegna all’alba e stanno camminando ormai da sei ore. Hanno seguito il sentiero, laddove era visibile, anche se non più largo di una minuscola traccia che spartisce la selva. E dove esso scompariva, inghiottito dalla vegetazione, hanno seguito il fiuto del cane Tarcil. Ranulf ha detto loro che il segugio appartiene a Scarloc il Giovane, l’uomo che stanno cercando. L’ultimo uomo che ha probabilmente visto Maristarre, e l’ha accompagnata nella sua esplorazione della Grande Foresta.

Puntano al villaggio di Elfi Verdi di Druid’s Grove, luogo natale di Scarloc e ultimo avamposto di civiltà, per quanto inospitale, prima delle profondità più selvagge e inaccessibili della foresta. Lì forse hanno ancora speranza di trovare tracce della giovane maga e informazioni sulla sua “ricerca”, che appare ogni giorno più misteriosa ed esoterica.

Ranulf ad un certo punto si volge verso il gruppo. Il cane Tarcil ha appena attraversato di slancio il muro apparentemente impenetrabile di vegetazione di fronte a loro, come avesse annusato qualcosa di familiare.
“Ci siamo quasi! Il cane ha ritrovato il sentiero! Dovremmo essere ormai vicini a…”

ettercap

Non fa in tempo a terminare la frase.
Dall’alto delle cime degli alberi e dal fitto della vegetazione intorno a loro, si odono fruscìi minacciosi. Di colpo, un getto di una strana sostanza filamentosa colpisce da due diversi lati Ranulf, in testa alla fila, gettandolo al suolo e incollandolo come una gigantesca ragnatela. Sylar e Gandrell un istante dopo sono sotto tiro: dai fianchi e dall’alto qualcosa li attacca con lo stesso getto di tela viscosa. Solo grazie ai propri riflessi riescono a non rimanere completamente intrappolati, ma sono comunque circondati da filamenti appiccicosi che li bloccano in uno spazio angusto. Un agguato in piena regola. Ma da parte di chi, o che cosa?
La risposta non si fa attendere: dal fitto della vegetazione e dalla cima di una radice aerea si fanno avanti una mezza dozzina di orride creature. L’aspetto è solo vagamente antropomordo, un grottesco incrocio fra uomo e ragno: il corpo è gonfio e molle, le lunghe braccia terminano con chele chitinose, e la testa è quella di una specie di ragno gigante, con quattro coppie di occhi neri e rotondi, vuoti e crudeli che fissano le prede con brama ferina. Ettercaps! Le mostruose aberrazioni, nate leggenda vuole da antichi druidi corrotti adoratori dei ragni che attraverso orrendi esperimenti si sono incrociati con le creature da loro tanto adorate fino a divenire degli ibridi senza più quasi alcuna traccia di umanità, orrendi abitatori delle foreste più fitte.

Subito Gandrell si rende conto che due di essi sono vicinissimi alui e lo ghermiranno in un attimo se non si difende in qualche modo. Ma è intrappolato nella ragnatela, e non può fuggire. Rapidamente, dal suo repertorio magico richiama una formula elementale, e lancia l’incantesimo senza preparazione, sperando nella propria abilità e buona sorte. La Trama è con lui oggi: l’incantesimo sortisce l’effetto sperato. Davanti alle sue mani, fra lui e i suoi assalitori, si eleva una parete di densa aria in movimento, che ulula e fruscia come un turbine di vento nella foresta, sollevando foglie e scheggie di legno. Gli ettercap provano a raggiungerlo attraverso il murovento, ma vengono respinti indietro dalla forza del turbine. Gandrell per ora è in salvo, ma i suoi assalitori presto tenteranno di aggirarlo.

Frattanto, alle sue spalle, Sylar ha estratto le armi e si appresta ad affrontare i mostruosi assalitori. Non ha paura di abomini del genere: ceresciuto fra i drow, conosce incroci magici ancora più aberranti e pericolosi, come i drider. Ma sa di essere in svantaggio tattico: solo contro due e parzialmente immobilizzato. Tuttavia, il primo avversario che si lancia su di lui non ha fatto i conti con il filo delle sue lame. Un primo fendent ben assestato subito spilla dalla gamba della grottesca creatura un icore nerastro e nauseabondo. L’ettercap vacilla sotto il colpo piegandosi e la sua esitazione gli è fatale: la spada sinistra di Sylar si conficca a fondo nella sua molle testa, aprendola come un melone marcio e rovesciandone l’orrendo contenuto al suolo.
Gandrell nel contempo ha colpito ripetutamente uno degli assalitori col suo bastone, ferendolo leggermente: questi hanno capito che devono aggirarlo per poter superare la barriera magica. Ranulf, invece, è al suolo, immobile. Su di lui, due delle orrende bestie, che sembra stiano già pasteggiando del suo cadavere. Il pover’uomo non meritava tale orrida fine.

Il secondo mostro ha capito già che Sylar è un avversario troppo forte, e prova a disimpegnarsi, gettando di nuovo il suo icore appiccicoso verso il tronco e le braccia del mezzodrow. Ma stavolta Sylar si aspettava l’attacco, e lo schiva agilmente. Contemporaneamente, si libera definitivamente dei filamenti che lo tenevano ancorato al suolo e balaza in avanti. L’ettercap tenta una precipitosa e goffa fuga, voltando le spalle al nemico. Ma la sua codardia non lo salva dalle spade di Sylar, che lo spacciano prima che abbia percorso pochi passi.
Ora Sylar e Gandrell sono di nuovo uniti, spalla a spalla, pronti a dare battaglia ai restanti avversari.

Gandrell sospende il murovento, permettendo a Sylar di scavalcare il tronco d’albero caduto di fronte a loro e gettarsi verso gli ettercap che stanno straziando il povero Ranulf. I mostri troppo tardi si accorgono che il mezzodrow è su di loro. Uno dei due cade al suolo perdendo sangue copioso da un profondo squarcio nel ventre enfiato. L’altro si prepara a dar battaglia.

Ma in quello stesso momento, una mezza dozzina di frecce piumate di bianco si infilano in prodondità nel suo corpo, trafiggendolo al torace, all’addome, e in mezzo agli occhi. L’ettercap cade esanime al suolo con un tonfo sordo.
“Fermi dove siete!” Intima immediatamente una voce in elfico, apparentemente proferita dalle fronde impenetrabili di un’albero davanti a Sylar.

Gandrell raggiunge subito Sylar. In quello stesso istante, con appena un fruscio, dalla vegetazione emergono alcuni cacciatori elfi. Bassi di statura ma non per questo meno minacciosi, con i volti dipinti di color verde e nero e i mantelli mimetici coperti di foglie e sterpi, sono invisibili come ombre nel bosco.
“Veniamo in pace!” Si affretta subito a rassicularli Gandrell, in elfico. “Questo nostro compagno è ferito, ha bisogno di cure immediate. E noi cerchiamo il villaggio di Durid’s Grove, e un uomo di nome Scarloc…”
Il capo del piccolo gruppo di ranger si fa avanti.
“Fermi e giù le armi! I forestieri non sono graditi qui.”
“I nostri nomi sono Gandrell e Sylar. E costui è Ranulf. Conosce di persona l’uomo di nome Scarloc e…”
“Silenzio! Abbassate le armi e seguiteci! E non tentate la fuga: i nostri archi sono precisi.”

Gandrell si volge verso Sylar, già immaginando la reazione del mezzodrow. Costui si è istintivamente coperto il volto col cappuccio per mascherare almeno in parte la propria natura, ma Gandrell sente distintamente il rumore dei denti serrati dello spadaccino che stridono gli uni contro gli altri.
“Calmo, Sylar. Ci conviene seguirli…”
“Non alimentiamo altre polemiche: se mi sento ancora una volta dare ordini e azzittire da quell’elfo, sarò costretto a fargli rimpiangere il giorno che ha visto la luce…”
“Capito. Bene così. Seguiamoli.”
Sylar carica in spalla il corpo esanime di Ranulf, il cui colorito terreo non lascia presagire nulla di buono, e si incammina dietro Gandrell. Alcuni elfi li precedono, altri li seguono e altri ancora sono appena visibili ai lati della vegetazione.

Druid's Grove

Il villaggio era invero molto più vicino di quanto avessero immaginato: una vera sfortuna essere attaccati a meno di venti minuti di marcia dalla fine del sentiero.
L’ultimo tratto del percorso, il sentiero stesso si apre su una vegetazione diversa. Dietro i cespugli apparentemente impenetrabili, la foresta è ancora più alta e maestosa, ma il sottobosco meno fitto. Un percorso di selciato è visibile sul terreno, e gli elfi, pur evitando di percorrerlo direttamente, lasciano che Gandrell e Sylar lo calchino.
D’improvviso, la foresta intorno a loro si rivela diversa da quel che sembrava solo dieci metri prima. Fra le fronde degli alberi s’intravedono volti di elfo curiosi, e corde e pontili uniscono le chiome di alcuni altissimi latifoglie. Alla base di alcuni tronchi poderosi vi sono aperture, seminascoste fra le radici, e scale di pioli e di corda e funi intrecciate per raggiungere i soppalchi sopra di loro. Un villaggio arboreo di Elfi Verdi, una delle meraviglie nascoste più rare da osservare in tutto il Faerun! Druid’s Grove. Finalmente, l’hanno raggiunto.

Il villaggio, apprendono presto i nostri due, è stato fondato in epoche molto molto antiche da una conclave di druidi elfi e umani. Gli alberi più possenti sono stati mossi magicamente e plasmati a creare una specie di roccaforte di impenetrabile legno, e il villaggio, inizialmente solo un minuscolo insediameto tribale, è stato costuito sopra di essi. Col passare delle epoche, i druidi umani dell’enclave hanno abbandonato la via di Sylvanus per iniziare ad adorare culti oscuri. I druidi elfici li hanno cacciati e sconfitti ed hanno reclamato per se Druid’s Grove. Quegli stessi ettercap da cui sono stati attaccati a così breve distanza dal villaggio sono forse i lontanissimi discendenti di quei druidi, sconfitti, scacciati e maledetti, che cercano vendetta contro gli Elfi Verdi che li hanno allontanati.

Sylar e Gandrell sono stati trattati in maniera rude ma tutto sommato dignitosa. Gli elfi li hanno fatti attendere e riposare su di una piattaforma intermedia. Il ranger con cui hanno conferito è rimasto a breve distanza da loro a sorvegliarli. Hanno appreso che il suo nome è Feore. Ranulf era ancora vivo: è stato condotto via da alcuni elfi, e Gandrell e Sylar credono si stiano prendendo cura di lui. Gandrell spera sinceramente che quell’uomo coraggioso e sfortunato possa cavarsela.

“Quest’uomo di cui ti ho parlato, l’uomo che cerchiamo, Scarloc… si trova per caso qui? E’ passato di qui?” Chiede infine Gandrell rivolto a Feore, che li fissa con espressione incuriosita dietro una maschera di impassibile rudezza.
“E’ nato qui. Questa è la sua casa.”
“Si questo lo sappiamo già. Ma è passato di qui, di recente? In compagnia di una donna umana?”
“Perché lo cercate?”
“Cerchiamo quella donna. Noi non lo abbiamo mai neppure incontrato, Scarloc. Ma lei lo aveva assunto come guida e…”
“Sì. Sono passati di qui.”
“Ah! E quanto tempo fa accadeva questo? E dove si trovano adesso?”
“Scarloc si trova qui. La donna è partita due settimane fa ormai, in una notte di novilunio.”
“Partita… Per gli dei!”
Lo sconforto per un attimo si impossessa di Gandrell. Sembra che la loro ricerca sia destinata a non terminare mai. Ogni volta che si avvicinano ad afferrare Maristarre, lei sembra averli preceduti di pochissimo e torna a sfuggirgli.
“E dove si è diretta? Lo sai? Puoi dircelo?”
“Credo verso delle antiche rovine. Rovine maledette. Ma Scarloc potrà dirvelo lui stesso, di persona.”
“Potremmo dunque conferire con lui?”
“L’ho già mandato a chiamare…”

Scarloc non assomiglia affatto all’immagine che Gandrell e Sylar si erano fatti di lui.
Giovane, parrebbe giovane in effetti, ma prova in ogni modo a mascherare la sua vera età, con una folta balba scura e lunghi capelli scarmigliati. Più che un elfo, o mezzelfo, il suo aspetto ricorda molto quello di un barbaro Uthgardt del Grande Nord.
Di bassa statura, spalle larghe e profilo massiccio, braccia potenti e collo taurino. Gli occhi verde bosco e le orecchie appuntite sono l’unico segno che tradisce la sua metà elfica, insieme forse all’abbigliamento che predilige il verde scuro e i colori del cuoio. Come pure di cuoio borchiato è la corazza brigantina che indossa con disinvoltura. Dalla schiena, trattenuta con dei semplici legacci di cuoio, penzola un’enorme lama a due mani, troppo grande e rozza e pesante per esser chiamata “spada”. Sembra più una mannaia ad un solo filo, di metallo scuro, con entrambi i lati della lama ricoperti di rune e geroglifici misteriosi, e la lunga impugnatura senza guardia avvolta in crude corregge di cuoio. Non un’arma da ranger, da guida boschiva, ma da guerriero Uthgardt. E l’arco composto che incrocia questa pesante lama sembra anch’esso di fattura umana, di corno e legno di quercia come quelli usati dai cacciatori dell’estremo nord.

Lo sguardo e il cipiglio di Scarloc sono sospettosi e pericolosi, come quelli di una bestia selvatica, reclusiva e pronta ad attaccare se si sentisse minacciata. Scruta con diffidenza i due forestieri, soffermandosi a lungo tanto su Sylar il cui aspetto è certamente inquietante che su Gandrell, che pur essendo maggiormente amichevole nei modi da l’impressione di nascondere molte sorprese.

“Sei tu Scarloc il Giovane?” chiede Gandrell tendendogli la mano in segno di saluto.
Scarloc guarda la mano tesa ma non risponde al saluto.
“Sono io” sentenzia semplicemente.
“Io sono Gandrell Ghosthand e questo è il mio compagno d’arme, Sylar Corvus. Siamo giunti qui sulle tue tracce, seguendole dal villaggio di Jalanthar. Siamo in cerca della donna che accompagnavi, Lady Maristarre.”
“Non è più con me da tempo. E comunque perché la cercate?”
“Ci manda il suo mentore. Dove s’è recata, sai dircelo?”
“Ho cercato di scoprirlo. Averi dovuto accompagnarla ancora ad est, verso delle rovine ai confini della foresta, ma invece due settimane fa è scomparsa nei pressi di un cerchio di pietre in una radura, a due ore di cammino a sudest di qui.”
“Ho visto in sogno quel luogo grazie alla mia magia. Com’è accaduto che tu ne abbia perso le tracce lì?”
“Quando siamo arrivati a Druid’s Grove lei ha sentito parlare del cerchio di prete dal Druido Anziano del villaggio, Radje. Mi ha chiesto di accompagnarla lì. Io l’ho avvertita che quel luogo ha una fama sinistra. Sparizioni, malefici, spettri. Lei ha insisito. Era lei a dover decidere.”
“Dunque l’ho accompagnata laggiù e ho aspettato mentre ispezionava le pietre. Roba da maghi. Io nel frattempo ho trovato in giro lì intorno molte tracce. Tracce fresche. Tracce di drow. Le ho detto che era pericoloso restare. L’ho riportata qui al villaggio.”
“Ma la notte seguente, dopo la luna nuova, lei è scomparsa. All’alba ho seguito le sue tracce fino al cerchio di pietre. Lì le tracce si fermavano. Sembra come scomparsa fra quelle pietre. Radje dice che lì vi è una potente e antica maledizione. Probabilmente ne è caduta vittima. Non ho potuto far altro…”

Scarloc sembra sinceramente dispiaciuto e rassegnato.
Gandrell capisce subito che dietro la scorza dura nel petto del ragazzo batte un cuore forte e coraggioso, e un istinto di protezione forse nei confronti della giovane maga.

“Avevi promesso a te stessa di proteggerla, vero?”
“Se fossi stato con lei… Avrei potuto tentare… Invece è caduta vittima di Colui Che Cammina Nel Crepuscolo…”
“Di chi, o cosa, stiamo parlando?”
“Una storia che può raccontarti meglio di me Radje. Vuole incontrarvi.”
“Molto bene. Noi siamo pronti.”

Gandrell annuisce e tira un sospiro rivolgendosi a Sylar che annuisce impercettibilmente.
Il mistero si infittisce ulteriormente, sembra che la vicenda si complichi sempre più ogni volta che arrivano ad un’apparente soluzione. Non resta che conferire con il Druido Anziano.

Radje è l’elfo dall’aspetto più vetusto che i nostri abbiano mai potuto incontrare. Raramente, se non anzianissimi, gli elfi mostrano i segni della vecchiaia in maniera percettibile: spesso l’unico modo per capire che un elfo è centenario è fissare la luce saggia dei suoi occhi. Forse per gli Elfi Verdi non vale questa regola: più legati alle cose della Natura delle altre stirpi, essi invecchiano anche esteriormente oltre che aumentare di saggezza. Radje è magro ed emaciato, con lunghissimi capelli candidi intrecciati in treccine adornate di perle. Il petto nudo è coperto da mille disegni tribali e siede, impassibile, le gambe incrociate e le mani con le palme rivolte in alto in una posizione meditativa nel suo punto d’osservazione, una nicchia fra le fronde di una quercia maestosa.
Scarloc provvede a fare le dovute presentazioni.
“Saggio Radje, costoro sono i forestieri di cui avevi preavvisato l’arrivo…”
Gli occhi di Radje, forse ciechi, sono ridotti a due fessure e non danno segno di aver visualizzato i suoi interlocutori, né il suo volto cambia espressione. Solo la bocca si muove impercettibilmente e la voce roca e flebile parla in un elfico ben intellegibile.
“Li aspettavo. Venite avanti al mio cospetto.”

Sylar più riluttante, Gandrell più incuriosito, si seggono al fianco di Scarloc all’ombra delle fronde che stormiscono gentilmente.
“Ti porgo omaggio, saggio Druido” saluta Gandrell con deferenza non insincera.
“Siete voi che ho sognato. Voi siete coloro che sono venuti a liberarci dello spettro di Colui Che Cammina Nel Crepuscolo…”
“Chi è costui? Come vi minaccia? E perché dovremmo essere noi coloro che aspettavi?”
“Colui Che Cammina Nel Crepuscolo, il Duskwalker. E’ nato e morto e poi risorto alla non-morte infinite stagioni fa. Il suo spirito infesta ancora questi luoghi, un cerchio di pietre magiche nella foresta. Finora egli era stata solo una leggenda, uno spuracchio per i nostri piccoli, ma ora compare sempre più frequentemente nei sogni miei e di altri druidi. Sta preparandosi per il suo ritorno…”
“Dimora fra le pietre dici? Nel luogo ove è scomparsa la giovane forestiera?”
“Non so nulla della sorte della forestiera. So che quel luogo è maledetto e da tempo immemorabile evitato da tutti gli Elfi Verdi e dalle altre creature sagge della foresta.”
“Questo non inclue i drow…” sussurra con un sogghigno amaro Sylar, quasi impercettibile.
“Gli elfi scuri si recano spesso presso quelle pietre, forse per carpirne il segreto, forse attratti dal potere oscuro del Duskwalker”, soggiunge Radje, che evidentemente ha udito Sylar.
“E noi in che modo dovremmo incontrare e affrontare il Duskwalker? Quali informazioni sai darci su di lui ancora?” riprende Gandrell.
“Non so molto di più. Il suo potere aumenta giorno dopo giorno ed egli sta trovando il modo di tornare nel nostro mondo da quello delle Ombre dove è confinato. La risposta all’enigma si trova fra le antiche pietre.”
“Dunque è lì che dovremo recarci…” pensa ad alta voce Gandrell.
“Ed io vi accompagnerò…” Soggiunge Scarloc.
“Ci sarai utile, sì.”
“E’ una mia responsabilità. Avrei dovuto trattenerla…”
“Non saresti riuscito comunque…”
“Forse no. Ma qualcuno deve pur occuparsi del Duskwalker.”
Radje annuisce. Sylar scuote impercettibilmente il capo. Ci sarà tempo per mettere in chiaro le cose, pensa sogghignando.

L’indomani mattina alle primissime luci dell’alba, Sylar, Gandrell e Scarloc sono in cammino già nel folto della foresta.
Prima del primo sole, osservano, coperti dalle fronde, la radura delle pietre. Gandrell rabbrividisce per un attimo nel vedere con i propri occhi lo stesso luogo che gli è apparso in sogno. In un sogno funesto, peraltro.
Dapprima con estrema cautela, muovendosi circospetti mentre Gandrell osserva la zona da lontano, Sylar e Scarloc cercano intorno alla radura tracce recenti. Scarloc, con fiuto da cacciatore infallibile, trova le stesse tracce, ormai vecchie di settimane, lasciate dai drow. Ma sembra che da allora, o meglio da quando Maristarre è scomparsa in quel luogo, non sia giunto nessun altro là.
Appurato che la zona è sicura, Gandrell può finalmente uscire allo scoperto, per esaminare le emblematiche pietre ancestrali.
Un rapido sguardo e alcune semplici magie gli sono sufficienti per capire che l’enigma nascosto dalle pietre non è di facile soluzione. Così si volta verso i suoi compagni:
“Avrò bisogno di tempo. Ore, forse giorni.”
“Non perdiamone allora” sentenzia Sylar. “Staremo di guardia, tu fai quel che devi.”

E’ ormai quasi il crepuscolo.
Gandrell ha passato l’intera giornata a meditare, camminando fra le pietre, osservandone le fini incisioni e la disposizione, tracciando schemi ed appunti, lanciando magie di individuazione. Né Sylar né tantomeno Scarloc saprebbero dire cos’abbia fatto, né a quali conslusioni sia potuto approdare, non avendo egli proferito parola, e non avendo loro voluto disturbare il suo studio. La notte si avvicina però, e quel luogo presto sarà molto poco sicuro.
D’improvviso, Gandrell si volta verso il bosco, laddove i suoi compagni dovrebbero essere nascosti.
Sylar! Scarloc! Venite! Presto!” grida.
In un attimo i due sono al suo cospetto.
“Si sta facendo buio, mago…” inizia Scarloc.
“Già. Ma io ho capito come funziona qui.”
“In che senso?” chiede Sylar.
“In ogni senso. Conosco lo scopo di queste pietre. So come usarle per viaggiare.”
“Viaggiare?” Sylar è già preoccupato.
“Viaggiare magicamente. Questo è un portale. Un portale per un altro luogo, forse un altro mondo. Forse un’altra epoca…”
“Quale luogo? Quale mondo? Di che stai parlando Gandrell per la miseria!”
“Questo, non so dirlo. Ma so che chi ha costruito questo luogo, ha intessuto le pietre di una potente magia. Ma questa magia è allo stesso tempo anche ben nascosta, difficile da usare. Una magia antichissima, può essere attivata solo in certe particolari condizioni… solo al crepuscolo, per pochissimi minuti, e solo una volta per ciascuna luna…”
“Io non ho idea di dove questo portale ci potrebbe condurre. L’unica cosa che so, è che avremo la nostra occasione fra pochissimo, e se la sprechiamo potrebbe non ripresentarsi a breve. E poi, c’è un altro problema…”
“Il problema è che, di questo sono sicuro, il portale funziona in un solo senso. Ci garantirà un viaggio di sola andata.”

“Ma stai scherzando?” Sylar è più incredulo che fuorioso.
“Sono serissimo. E sicurissimo.”
“E noi dovremmo attraversare un portale magico che ci condurrebbe non sappiamo dove, non sappiamo QUANDO, e soprattutto siamo sicuri che non vi sia un modo per tornare indietro?…”
“Non ho detto questo. Ho detto che non è tramite lo stesso portale che torneremo…”
“Mi pare la stessa cosa. Cioè follia pura.”
“L’unica certezza, è che non esistono portali a senso unico…”
“Ma hai appena detto che questo lo è…”
“La magia che lo attiva lo fa funzionare in un solo senso. Ma deve essere possibile invertirne il funzionamento, in un modo o nell’altro.”
“E tu conosci questo modo?”
“No. Ma conto di poterlo scoprire. Forse.”
FORSE? E invece FORSE rimarremo bloccati non si sa dove per sempre! Mi spiace. Il rischio è troppo grande. Io non ci sto…”
“E’ l’unica via che abbiamo da percorrere purtroppo…”
“Ugualmente, non ci sto. Quando accettai di seguire le tracce di quella donna, ho fatto uno sforzo di buona volontà. Ma questo è un salto di fede troppo grosso, senza alcuna certezza. Anzi, con la quasi certezza che finiremo molto male…”
“E’ una tua scelta, temo…”

“Io verrò, se tu vai, mago…” interviene Scarloc. “La mia missione è questa. Se devo affrontare l’ignoto, l’affronterò.”
“Siete pazzi. Entrambi.” Sussurra Sylar fra i denti.

Proprio in quel momento, Gandrell si volta verso di lui. La sua espressione è divenuta stranamente inquisitiva e minacciosa. I suoi occhi non sono più del verde smeraldo cui Sylar è abituato, ma di un inquietante color porpora. La sua voce non è la sua, ma un altro tono, più basso e metallico.
“Cosa c’è? Hai paura forse? Un eroe non dovrebbe aver paura di rischiare, se la posta in gioco è alta…”
Sylar deglutisce, impietrito.
“Suvvia, cosa vuoi che sia? Un salto nel buio, un po’ di emozione. Un po’ di avventura. Non vorrai passare per un vigliacco?”
“Maledetto. E sia…”

“Cosa?” Gandrell è sbigottito e lo sta fissando come se non avesse inteso. Anche Scarloc è perplesso.
“Nulla. Non ho detto nulla. Ho detto: va bene.”
“Va… bene? Ma se fino a un istante fa…”
“Ho detto VA BENE. Andiamo. E niente domande. E che gli déi o chi per loro ci assistano…”
“Bene così allora. Niente domande. Abbiamo solo pochi minuti. Preparatevi…”

Il sole inizia ormai a scomparire all’orizzonte e gli alberi e le pietre proiettano sulla radura ombre sempre più scure e lunghe. Gandrell ha fatto radunare in cerchio al centro del circolo di pietre tutti quanti. Ciascuno ha controllato fino in fondo il proprio equipaggiamento: poche provviste, le armi, gli oggetti indispensabili. Sono tutti pronti per il viaggio… se pronti si può essere a un salto nel buio come l’attraversamento di un portale verso una destinazione ignota.
Ifine il sole scompare del tutto dietro le chiome degli alberi. Il cielo è in parte ancora rischiarato dalla luce rossastra del tramonto ad ovest, e sfumato verso il viola più scuro ad est, dove già s’intravedono le stelle a punteggiare la volta celeste. E’ quello il momento magico del crepuscolo, quei pochi brevi attimi in cui non è più giorno, ma non è ancora notte. Il momento in cui le ombre da diafane divengono solide e reali, per poi rapidamente svanire di nuovo nel buio della notte.
Le pietre circondano i nostri come silenziosi guardiani usciti da un’epoca antichissima. Nessun indizio sembra indicare loro che qualcosa stia accadendo…
D’improvviso però le piccole pietre cominciano a smuoversi a terra, come attirate verso l’alto da una forza gravitazionale sconosciuta. Sopra di loro, il cielo notturno comincia a girare vorticosamente, finché i punti brillanti delle stelle non divengono una spirale di luce. Le pietre sembrano schizzare d’improvviso verso l’alto, divenendo colonne altissime. O è il terreno che cade, sprofondando nel vuoto? Niente di tutto questo: una potentissima magia è in atto. In men che non si dica, Sylar, Gandrell e Scarloc non si trovano più sul suolo del Faerun, ma vengono risucchiati in un turbine spazio-temporale verso un luogo, e un tempo, a loro sconosciuti.

Il portale ha funzionato. Il viaggio continua.

The trail so far

Posted in Cronache, Realmslore with tags , , , on 16 luglio, 2008 by solidtom

Dalle montagne alla foresta

Posted in Cronache, Racconti with tags , , , , , on 16 luglio, 2008 by solidtom

Jalanthar.

Un minuscolo agglomerato di baracche di legno, seppellito sotto la neve per dieci mesi all’anno.
Arroccato ad oltre mille metri di quota in una stretta valle montana, sul versante meridionale delle Montagne Netheresi. L’ultimo avamposto della civiltà, se così si vuol chiamarla, prima della desolazione completa.

Solo poche decine di uomini abitano questo luogo sperduto durante i mesi invernali. Cacciatori, trappers, ranger e taglialegna. Uomini duri, uomini forgiati dalle intemperie e dai pericoli del Nord. Oltre a loro, poche creature si avventurano fra quegli scoscesi passi montani: orchi e bestie predatrici in cerca di cibo, viverne che vanno a covare le loro uova sulle cime più inaccessibili… e Gandrell e Sylar.

Hanno abbandonato Everlund due giorni prima, dormendo sulla strada all’addiaccio la prima notte.
Hanno raggiunto il giorno successivo, in tarda mattinata, la svolta della strada. Invece di proseguire sulla comoda via carovaniera fino al fiume e poi alla città di Sundabar, hanno voltato a nord su un sentiero appena visibile, che sembrava andare a finire inghiottito dritto fra due gole rocciose. Di là, i cavalli al passo, attenti ad ogni metro di terreno a non precipitare verso il burrone sotto di loro e a non attirare l’attenzione di sguardi non desiderati, si sono inerpicati fino al Passo dell’Ascia d’Orco. Da lì, ancora due ore di durissima marcia per arrivare nello stretto altopiano circondato da picchi innevati. E finalmente, sono giunti a Jalanthar.

Non che si aspettassero un crocevia di genti.
Ma la visione di quel luogo misero e sperduto gli fa dubitare seriamente di essere sulla giusta strada. Dubitano persino che abbia mai avuto un senso intraprendere una ricerca così assurda come quella che stanno portando avanti. Lo stesso Gandrell scuote il capo sotto il cappuccio mentre sfila silenzioso di fronte alle baracche dissestate, non dissimili dalle cataste di legna che giacciono comperte dalla neve a breve distanza. Un cane magro e nervoso gli abbaglia contro dalla lontananza.
Un uomo alto, magrissimo, con una lunga barba scura e vestito di pellicce e cuoio si avvicina, silenzioso, alla staccionata. Porta un lungo coltello da caccia alla cintura e un’ascia da boscaiolo fra le mani nodose.

“Salute, buon uomo. Siamo qui in cerca di una guida…” Come sempre, è Gandrell a rompere il ghiaccio.
L’uomo non muove un muscolo del volto e non proferisce parola. Alza lentamente una mano e indica con un dito ossuto un basso edificio, l’unico di pietra, addossato alla parete della montagna.
Gandrell china il capo e si avvia in quella direzione.
“Davvero ospitali, qui…” commenta sardonicamente rivolto a Sylar, il quale sogghigna senza aggiungere altro.

Il basso edificio di pietra è sovrastato da un’insegna di legno rovinata dalle intemperie. “La Cockatrice Canterina”… deve trattarsi di una locanda. Gandrell non può fare a meno di cogliere l’ironia di un nome così altisonante per un luogo tanto desolato e squallido.

L’interno è freddo e male illuminato. Gandrell e Sylar non sono affatto stupiti di essere gli unici avventori. Si siedono all’unico grande tavolo centrale e attendono che qualcuno si faccia vivo.
Dopo alcuni minuti, finalmente qualcuno si presenta da dietro il bancone e li raggiunge.
E’ il nano più massiccio e grasso che Gandrell e Sylar abbiano mai incontrato. Non che ne abbiano incontrati molti, in verità… ma a Silverymoon i nani sono una vista più che comune. Ma nessuno dei pacifici abitanti della capitale delle Marche d’Argento sembra avere molto in comune con questo individuo: braccia muscolose e coperte di tatuaggi, testa rasata e barba ispida dal vivido colore giallo, occhi azzurro ghiaccio quasi invisibile sotto le folte sopracciglia. I segni di molte battaglie addosso, come pure l’ascia che porta alla cintura, indicano chiaramente che, prima di essere un locandiere, dev’essere stato un avventuriero e un guerriero.
Il suo nome è Khendrer il Grosso, e non è affatto antipatico come il suo aspetto burbero potrebbe suggerire. Dopo aver accolto calorosamente i due viandanti nella sua locanda e avergli servito birra e un pasto caldo, si presta ben volentieri a rispondere alle loro domande.

“Siamo qui per cercare una guida” inizia Gandrell.
“Siete nel posto giusto allora… Una guida per dove?”
“A dire la verità, siamo qui anche per cercare una persona. Che a sua volta è stata qui in cerca di una guida?”
“Uh? E’ un indovinello? Non sono molto ferrato in queste sciarade…”
Gandrell sorride.
“No, purtroppo non è un indovinello. Siamo sulle tracce di una donna. Una giovane donna dai capelli rossi, una maga di talento. Viaggia da sola per quanto ne sappiamo e dev’essere giunta qui, ormai tre settimane orsono quantomeno, in cerca di una guida…”

Alla fine della loro conversazione, Sylar e Gandrell hanno appreso molte cose da Khendrer il Grosso.
Hanno saputo che Maristarre è giunta a Jalanthar per cercare di ingaggiare la miglior guida possibile per la Grande Foresta a nord del fiume Rauvin: Scarloc il Giovane. Dopo averlo convinto ad accompagnarla, i due sono partiti in direzione della foresta due settimane addietro. Di loro da quel momento non v’è stata altra notizia.
Tuttavia, con ogni probabilità la prima tappa di Scarloc sarà stata il suo villagio natìo, una piccolissima comunità di Elfi Verdi che si trova a mezza giornata di marcia dal confine settentrionale della foresta.
Per raggiungere quel villaggio, introvabile per chi non sia pratico della foresta, occorre ingaggiare una guida. Troveranno questa guida nel piccolo avamposto senza nome di trappers e boscaioli ai margini della foresta, poco sotto l’ansa del Rauvin.

Non c’è molto altro da fare qui a Jalanthar sembrerebbe. Ora di rimettersi in marcia, dopo una notte di sonno ristoratore.

La mattina successiva di buon’ora Sylar e Gandrell sono già sulla strada, e ben prima di mezzodì hanno di nuovo raggiunto la via carovaniera che costeggia il Rauvin sulla sponda Nord. Quando giungono all’ansa del fiume, laddove il traghetto in inverno e un ponte di corde in estate dovrebbe permetter loro di guadare il fiume, li attende una vista inaspettata. Un grosso contingente dell’Armata della Valle, con molti soldati a cavallo e ancor più fanteria, è accampato sulla pianura fra le montagne Netheresi, a guardare l’unico passo fra Nord e Sud che conduca alla sorgente del fiume e quindi a Sundabar.

A comando del distaccamento trovano Asthen Moorwalker, figlio di Lord Kayl Moorwalker e suo secondo in comando. Il contingente di circa cinquecento uomini è stato piazzato strategicamente lì per impedire all’orda che ha preso d’assedio nei giorni passati Sundabar di ritirarsi con facilità a sud delle montagne. L’orda si è già ritirata sulle montagne a sud-ovest di Sundabar, e una parte dell’Armata è rimasta a guardia della città. Un’altra parte della guarnigione sta battendo il confine nord-occidentale delle montagne sperando di spingere l’orda a tentare la fuga verso sud, dove verrebbe schiacciata fra due fuochi. L’intento è quello di infliggere da subito un colpo durissimo, possibilmente letale, a questa accozzaglia di pericolosi saccheggiatori che si è già infranta inefficacemente contro le solide mura di Sundabar.

Conferendo con Asthen, Gandrell e Sylar vengono a sapere che quest’orda è di tipo assai diverso da quelle che periodicamente sciamano dalle montagne verso valle. Innanzitutto, non si tratta di orchi. Sembra si tratti di un contingente misto di trolls, forse sfollati dalla Brughiera Sterminata, e di barbari Uthgardt, insieme ad altre creature mostruose come giganti delle colline e ogre. Il grosso dell’orda è però formata da guerrieri Uthgardt, e la cosa che è risultata più strana di tutte è che portano i vessilli di guerra del Clan dell’Orso Blu. Lo sciagurato Clan dell’Orso Blu è considerato estinto da oltre quindici anni: da quando, al seguito del capoguerra Lutwig Grombersen e della sua compagna, la strega e sciamana Tanta Hagara, tentò follemente l’assalto alle rovine di Hellgate Keep, alle estreme propaggini settentrionali della Grande Foresta. I demoni che ancora imperversavano sulle antiche rovine ebbero la meglio degli stolti guerrieri Uthgardt e infransero il loro sogno di conquistare la potente roccaforte di un tempo che fu. In seguito a questi eventi, che mostrarono come Hellgate Keep fosse ancora un pericoloso focolaio dormiente nonostante le magie che erano state usate per sigillarla, una delegazione di potenti Arpisti, capeggiati da Khelben “Astanera” Arunsun si decise a distruggere definitivamente quel che rimaneva di quelle antiche malvagie rovine. Fu utilizzato un potentissimo rituale magico ed un artefatto, il Globo di Mythantar, che polverizzò la roccaforte dei demoni scavando un crepaccio profondo mezzo miglio laddove un tempo sorgevano bastioni e torri fortificate. Da quel momento nulla più s’era saputo di Hellgate Keep, né della scomparsa tribù dell’Orso Blu.
Ora sembra che questo famigerato Clan sia rispuntato chissà come, alleato con creature assai pericolose. Si tratta di un gruppo di piccole dimensioni, ma la ferocia agguerrita e la brutalità dei suoi componenti ne fanno un pericolo immediato e da non sottovalutare. Si ignora chi possa essere al comando di un’orda siffatta.

In un modo o nell’altro, questi affari ora riguardano l’Armata della Valle e non certo Sylar e Gandrell. A loro tocca invece non perdere tempo ulteriormente: traghettati dai soldati sull’altra sponda del fiume, riprendono il loro viaggio verso il limitare della foresta, ormai sempre più vicina, scura minacciosa e silenziosa.

Prima dell’imbrunire, i due solitari viandati sono in prossimità di un minuscolo agglomerato di edifici di legno seminascosti nella vegetazione. L’unico segno di civiltà per miglia e miglia di distanza. Questo piccolo avamposto senza nome di tagliaboschi sembra essere il loro punto d’arrivo nel percorso fra le montagne e la foresta. Da lì in poi, saranno definitivamente oltre la soglia di non-ritorno, persi nell’immensità della Grande Foresta e dei suoi misteri.

Nell’unico locale che possa accogliere forestieri, Sylar e Gandrell chiedono informazioni su Scarloc il Giovane e sulla sua compagna di viaggio, Lady Maristarre. A dargliene è un rude tagliaboschi e cacciatore, un uomo di nome Ranulf. Ranulf è stato un tempo un soldato della Guardia Cittadina di Sundabar, e dopo il congedo aveva costruito una piccola fattoria dove viveva con moglie e figli. Gli orchi hanno spazzato via la fattoria e distrutto tutto ciò per cui viveva. Da quel momento Ranulf si è ritirato in quel luogo dimenticato dall’uomo, a vivere di duro lavoro cercando di dimenticare il dolore con la fatica e il sudore.

Ranulf dice loro di conoscere bene Scarloc. Dice che è passato di la non più tardi di 15 giorni prima. Era diretto, insieme a Maristarre, al villaggio di Elfi Verdi di Druid’s Cove. Un luogo difficile da trovare e da avvicinare, giacché gli Elfi Verdi sono assai poco ospitali coi forestieri e molto ben nascosti nelle profondità della foresta. Ma quel villaggio, luogo natìo di Scarloc, è anche il crocevia di molti importanti sentieri che si diramano, invisibili a un’occhio meno che esperto, nella profondità della foresta.
E’ quella la loro prossima meta, e Ranulf si offre di accompagnarli, anche per reincontrare l’amico.
Non potevano chiedere più di questo brav’uomo forte e silenzioso che faccia loro da guida e scorta armata.

Prima di coricarsi, Gandrell decide di usare un incantesimo di divinazione.
E’ un incantesimo molto potente, e anche molto pericoloso. Un sogno magico, ispirato dal corpo astrale e dalle conoscenze subconsce portate dalla Trama. Potrebbe rivelargli qualcosa che ancora non sanno, se Gandrell saprà essere così saggio da squarciare la nebbia de sogno ed interpretarne gli oscuri simbolismi. Così, si immerge nella meditazione notturna desiderando intensamente sognare qualcosa circa il suo prossimo incontro con Maristarre.

E’ notte profonda nella foresta e tutto tace, sebbene mille occhi e mille orecchie siano all’erta e vigili in ogni dove. Gandrell avanza silenzioso fra le fronde fittissime. Non conosce la sua destinazione ma sa con certezza che si sta recando nel posto giusto.
Esce dalla vegetazione in un’ampia radura. Le radici mastodontiche di alberi secolari escono dal terreno nero come giganteschi serpenti. Al centro della radura un circolo di tre menhir, antichi come il mondo stesso, giace silente. Le pietre puntano verso il cielo stellato come zanne di un mostro antidiluviano.
Al centro delle pietre c’è la sagoma scura di una donna. Il suo profilo è illuminato solo dalla luce della luna, ma tanto basta al mezzelfo per riconoscerne le fattezze. Alta, slanciata e bellissima: i capelli sono una nube di fuoco che sembra viva animata dalla fresca brezza notturna.
“Maristarre…” si sente dire Gandrell rivolto alla donna. “Lady Maristarre!”
Nessuna risposta dalla donna, che si volta di spalle e scompare dietro una delle pietre.
Gandrell supera rapidamente la vegetazione e varca egli stesso la soglia del cerchio monolitico.
Ma qualcosa cambia, improvvisamente. Si sente mancare il terreno sotto i piedi e cade in un pozzo profondissimo. Cade nell’oscurità. Nulla può arrestare la sua caduta e mentre cade, e cade, guarda disperatamente verso l’alto il cielo stellato che diviene sempre più lontano, irraggiungibile. Ben presto intorno a lui c’è solo buio, freddo, paura e sconcerto.
Finché non giunge alla fine della caduta che pareva senza fine. Ad attenderlo c’è un mare oscuro in tempesta. L’acqua salmastra è gelida e mortale, e il cielo nero è ingombro di numbi minacciose. Una strana luminescenza sembra colorare la spuma delle onde. Intorno a sé Gandrell non vede nulla ma percepisce.. presenze… presenze minacciose nell’oscurità di quegli abissi insondabili. Le forze gli vengono meno, insieme alla volontà. Grida disperato ma la sua voce non viene udita da nessuno, si perde nel rumore del vento. Lentamente, si lascia scivolare nell’oblio.

the high forest

L’indomani mattina, prima ancora che il sole abbia iniziato a filtrare attraverso la spessa coltre verde del fogliame degli alberi secolari, Gandrell, Sylar e Ranulf sono già in viaggio, diretti verso Druid’s Cove.
Gandrell è silenzioso come non mai, sconvolto dal sogno notturno del quale non ha fatto parola con nessuno. Sta ancora cercando di capire se quel che ha sognato sarà davvero la sua fine: il sogno mostra il possibile, forse anche il probabile, ma mai nulla di certo.
E nel loro futuro incerto, storie di antiche rovine dimenticate, misteri e magie antichissime dormienti li attendono.

Sulla strada, di nuovo.

Posted in Cronache, Racconti with tags , , , on 15 luglio, 2008 by solidtom

La Guardia Cittadina, un distaccamento dell’Armata della Valle, è giunta alle primissime luci dell’alba alla villa sulla collina appartenuta a Melvin Draga. Circa cinquanta uomini, al comando di un giovane capitano zelante, si sono sparpagliati tutto intorno al cortile, in attesa di capire se dall’interno qualcuno risponderà alla chiamata. Da una finestra del secondo piano, Sylar e Gandrell hanno seguito l’avvicinamento e la manrovra, chiedendosi chi mai abbia chiamato qui i soldati, quasi sapessero che nella notte vi sono stati assassini e intrigo nella villa. Poi capiscono: Kayl Moorwalker, di ritorno alla sua dimora, deve aver inviato degli uomini della Guardia alla villa, per accertarsi di quanto stava accadendo: molto probabilmente le parole nebulose di Jarthon, Semmonemily e dello stesso Draga lo avevano lasciato perplesso la sera precedente.

Sylar e Gandrell riflettono rapidamente sul da farsi. Potrebbero ancora dileguarsi nell’ombra e nessuno, a parte la Baronessa, sarebbe testimone della loro presenza lì. Sarebbe la soluzione più semplice per non dover dare spiegazioni. Tuttavia, allo stesso tempo ciò li metterebbe in cattiva, anzi pessima luce agli occhi degli Anziani di Everlund e dello stesso Moorwalker. Non devono dimenticare che sono comparsi in città facendo domande, si sono intrufolati sotto mentinte spoglie al ballo, e infine hanno ucciso Jarthon, i suoi uomini, e lo stesso Melvin Draga. Meglio presentarsi invece, forti dell’appoggio della Baronessa e della sua testimonianza, e spiegare tutto per filo e per segno. Non hanno nulla da nascondere, e quanto accaduto, se opportunamente ricostruito, darà loro ragione.

“Ehi della casa! C’è nessuno? Sono il capitano Kevin della Guardia Cittadina! Aprite il portone!”
E’ Gandrell ad aprire le ante della porta con gesto plateale. Sylar dietro di lui, un po’ in penombra, cerca di apparire meno minaccioso possibile, col cappuccio alzato e le spade infoderate, le mani conserte di fronte al petto. Vicino a lui, avvolta nel vestito che fu suo e che hanno recuperato dal corpo esanime di Semmonemily, la Baronessa.
Il Capitano fa un passo avanti, spalleggiato da due soldati.
“Chi siete voi?”
“Mi chiamo Gandrell Edelhorn, detto “Ghosthand”. Costui è il mio compare e guardia del corpo, Sylar Corvus. E la Baronessa delle Acque Bellethee Auranthal di Yartar.”
“Dov’è Melvin Draga?”
“E’ morto. E’ impazzito e ha ucciso i suoi domestici. Poi ha cercato di uccidere anche noi. Sono stato costretto a difendermi. Il corpo giace nel salone, da quella parte…”
“Eravamo qui per trarlo in arresto, per ordine di Lord Moorwalker. L’accusa è di alto tradimento.”
“Siete giunti tardi, temo.”

I soldati esplorano la casa. Il capitano è giovane, ma non è uno sciocco. Capisce che quanto gli è stato riferito è probabilmente rispondente al vero. Del resto, il corpo dalle fattezze aliene del doppelgänger che ancora giace al suolo è testimone del fatto che qualcosa di decisamente non chiaro si è svolto nottetempo fra quelle sale. Il corpo di Jarthon e quello dei suoi sgherri vengono anch’essi trovati proprio dove Gandrell indica. La Baronessa offre una prima versione dei fatti, coincidente con quella fornita da Gandrell stesso. Alla fine, scortati dalla Guardia Cittadina, i nostri si incamminano verso Everlund, per essere ricevuti dinnanzi al Consiglio degli Anziani, o quanto ne resta. Il sole già splende alto nel cielo.

Durante il cammino, apprendono dalle parole del capitano che Lord Moorwalker, alla testa di un contingente di 1200 uomini, oltre metà dell’Armata della Valle, è partito alle primissime luci dell’alba diretto verso la città di Sundabar. Altri messaggi, questa volta magicamente recapitati a Lord Vaerhin, indicavano che la cittadella era sotto assedio da parte di una forza d’attacco ancora perlopiù sconosciuta, calata dalle montagne. Non i soliti orchi, ma un’orda mista di barbari Uthgardt, trolls in fuga dalla Brughiera Sterminata, e altre creature ancora. Un misterioso condottiero alla testa dell’esercito. La città di Sundabar resiste all’assedio per il momento, arroccata dietro le sue potenti mura. Moorwalker ha ben pensato di effettuare una manovra a tenaglia repentina, per cogliere impreparati gli assedianti. Le mura di Sundabar saranno l’incudine, e l’Armata della Valle il martello.

Il resto del Consiglio, composto dai membri rimanenti Vaerhin l’Alto Mago, la sacerdotessa Yeshelné Amrallatha di Corellon Larethian, Borun il Maestro delle Gilde e Sindyl la mezzelfa, si è riunito in seduta straordinaria per deliberare anche della difesa della città contro eventuali attacchi ed altre misure di sicurezza.

Gandrell e Sylar (più il mezzelfo che il mezzodrow, in realtà), ripetono al cospetto di Vaerhin, la maggior carica in mancanza di Lord Moorwalker, ciò che hanno già spiegato al capitano, arricchendolo dei dettagli mancanti. La Baronessa conferma le loro parole e le integra col racconto di come sia stata rapita a Yartar oltre 30 giorni prima, sia stata tenuta segregata e studiata lungamente dal doppelgänger che ne avrebbe assunto le sembianze, con lo scopo, presumibilmente, di farla uscire di scena quando non fosse più stata necessaria la sua presenza, una volta firmato l’accordo: Jarthon sarebbe salito lui stesso alla guida di Yartar.

Alla fine, rimane solo una domanda senza risposta. Forse non è importante, ma Gandrell l’aspettava comunque. E infatti, puntualmente, Vaerhin la pone.
“Rimane solo da capire, se non è troppo chiedere, in quale modo siete rimasti coinvolti in questa storia voialtri, Sir Gandrell e Sylar…”
“Naturalmente. Aspettavo questa domanda. La risposta è un po’… beh… particolare diciamo.”
“Vi ascolto, parlate pure.”
“Eravamo in cerca di una nobildonna rapita, è vero. Ma non era la Baronessa che cercavamo. Abbiamo seguito la pista sbagliata che fortuitamente ci ha condotto a lei, parrebbe…”
“Una vera fortuna, per la Baronessa. Ed è lecito sapere chi fosse questa donna che cercavate e per qual motivo credevato potesse essere prigioniera da qualche parte nella nostra bella città?”

Gandrell alza la mano destra in modo che il palmo sia ben visibile al mago, ed a lui soltanto. Spera che egli possa individuare il magico, per vedere il sigillo magico tracciato su di esso da Taern Hornblade quando li ha investiti di tale compito.
“Cerchiamo una nobildonna di Baldur’s Gate. Le ultime voci volevano fosse diretta proprio qui nella vostra città. Il suo nome è Lady Maristarre.”
Inutile celare questa informazione ancora. Forse, avrebbe dovuto farne parola col Consiglio subito… ma temeva quella corruzione che infatti, per altri motivi, ha incontrato. Ora, tolti di mezzo i rami secchi come Draga e i suoi alleati, Gandrell è sicuro di potersi fidare della saggezza e riservatezza di Vaerhin. Peraltro, ricorda vagamente che Jorus Azuremantle e lo stesso Taern Hornblade conoscono di persona il Lord Mago di Everlund e ne abbiano stima.

“Ho già udito, credo, questo nome. Ma non so dirvi molto di più.”
“Io posso dirvi di più…”
La voce che ha parlato è quella di Sindyl, dall’estremità della sala. Vaerhin annuisce. Gandrell si volta, comprensibilmente stupito.
“Voi la conoscete?”
“Sì la conosco. E’ una mia ospite fissa quando passa di qui. Una buona amica…”
“Per gli dei! Avessimo chiesto subito… Cosa sapete di lei?”
“Avete ragione di ritenere possa essere in pericolo? Ne ho gran dispiacere… So però che non si trova ad Everlund da molto ormai. Più di tre settimane fa è partita alla volta della Grande Foresta.”
“Non è questa la sede per discutere di ciò, credo…” interrompe Vaerhin.
“Avete ragione, Mylord. Se la nostra amica Sindyl vorrà, ne parleremo in separata sede.”
“Certo”, annuisce Sindyl. “Sarete miei ospiti, questa sera…”

Sylar e Gandrell, insieme a tutti i presenti, stanno per abbandonare la sala del Consiglio, quando vengono avvicinati da Vaerhin.
“Anch’io avrei piacere che questa notte, quando avrete finito con i vostri impegni mondani, veniste a farmi visita alla Torre delle Stelle. Vorrei scambiare due parole con voi due, in privato.”
Le parole dell’elfo non sono minacciose, ma la sua intonazione lascia intendere che non si tratti di un invito che conviene rifiutare.
“Verremo senz’altro, Mylord” annuisce Gandrell.

E’ ormai calata la notte quando Sylar e Gandrell escono dalla porta sul retro della magione cittadina di Sindyl. Hanno avuto conferma di quanto anticipato, senza molti ulteriori dettagli che possano essere utili alla loro ricerca. Sindyl ha parlato ormai un mese addietro con Lady Maristarre, la quale aveva manifestato l’intenzione di partire per un’esplorazione di “alcune rovine” nella Grande Foresta. Sindyl l’aveva indirizzata verso il villaggio di Jalanthar, a poche ore dal margine della foresta, dove avrebbe potuto ingaggiare fra le migliori guide della zona. In particolare, un certo Scarloc detto Il Giovane aveva fama di essere l’unico ranger in grado di accompagnare un viandante in profondità nella Grande Foresta. Sylar e Gandrell sono sempre più impensieriti all’idea del grande vantaggio che Maristarre dovrebbe ormai avere su di loro, e disperano di poterne ritrovare le tracce nella sterminata Grande Foresta, ma la tappa a Jalanthar appare obbligatoria. Prima di lasciare Everlund, tuttavia, vi è ancora un impegno da onorare, quello preso con Lord Vaerhin.

La Torre delle Stelle, studio e dimora del Lord Stregone di Everlund, sorge nell’ampio parco noto come Pratifioriti, poco fuori dalla porta ovest della città. Il parco è abitato anche da alcune famiglie di elfi, in linea di parentela con Vaerhin e Yeshelné Amrallatha, sua compagna e Gran Sacerdotessa di Corellon Larethian ad Everlund.
Sylar e Gandrell sono consapevoli di essere osservati da occhi curiosi fra le fronde degli alberi, ma non si lasciano distrarre. Al chiarore della luna, si introducono nella torre per conferire con Vaerhin.
Costui li attende assiso sul suo scranno, in una bella sala all’ultimo piano illuminata solo dalla luce della luna che filtra dalla cupola di vetro laen trasparentissimo. Moltiplicata da un gioco di specchi, disegna meravigliose forme caleidoscopiche sul pavimento di marmo della sala immersa nella penombra.
Vaerhin ha dismesso le vesti da Lord del Consiglio e veste quelle dello studioso, del mago.
I convenevoli sono ridotti al minimo.

“Ho riconosciuto il segno che portate. Il sigillo di Taern Hornblade di Silverymoon.”
“Lo immaginavo, Lord Vaerhin” asserisce subito Gandrell.
“Questo spiega molte cose su di voi. E sul perché vi siate dati tanto da fare. Avete avuto da Sindyl le indicazioni che cercavate?”
“Non molto, in verità. Ma pur sempre abbastanza per sapere che dovremo partire di nuovo…”
“Capisco. C’è qualcosa che possa fare per voi, per la vostra causa?”
“Non saprei, Lord Vaerhin. Cosa suggerireste?”
“Se ne avete necessità, potrei mettervi in contatto con Mastro Hornblade…”
“Sarebbe particolarmente gradito. Potremmo aggiornarlo sulla situazione e sulla nostra nuova destinazione.”
“Sarà fatto…”

Detto e fatto, Vaerhin inizia a gesticolare e mormorare la formula di un incantesimo. Quando la sua voce e le sue mani si fermano, volge lo sguardo in un’angolo buio della sala. Gandrell e Sylar subito con lui.
Dall’angolo della sala, dall’oscurità, emerge alla luce della luna una figura. Vestita di blu e argento, la barba bianca sul petto, la potente spada Tuonoincantato al fianco. Si tratta proprio di Taern Hornblade. Inizialmente, Gandrell pensa ad una visione proiettata. Subito però si ricrede quando l’anziano mago si avvicina loro ed egli può meglio osservarlo: è una figura reale di carne e sangue, quella di fronte a lui.
“Mastro Hornblade?”
“In persona, amico mio. Ho udito il contatto mentale di Lord Vaerhin, che saluto” – si volge per un breve cenno del capo – “e sono giunto. Vi trovo in buona salute per fortuna. Quali novità?”
“Lady Maristarre non è qui, Mastro Hornblade.”
“Questo lo immaginavo. E dove si trova allora?”
“Non lo sappiamo con certezza. Da qualche parte nella Grande Foresta, forse. Ha viaggiato fino al villaggio di Jalanthar per assoldare un guida. E’ lì che siamo diretti, per seguire le sue tracce… Partiremo domani all’alba.”
“Cattive notizie, ahimé. Se non altro, v’è ancora speranza di rintracciarla…”
“Lo speriamo anche noi. Faremo del nostro meglio.”
“Avete già fatto molto, ma vi chiedo un’ulteriore sforzo. E’ per la causa del Libero Nord…”
“Senz’altro Mastro Hornblade. Come già detto, riprenderemo il nostro viaggio domattina all’alba.”

“Cosa sapete della Grande Foresta?”
“Non molto, in verità. Sappiamo che è un luogo enorme, antichissimo e popolato di presenze arcane. Sappiamo che non di rado chi si avventura nelle sue profondità non fa più ritorno.”
“E’ tutto vero purtroppo. E a maggior ragione lo è per gli usufruitori della Trama come Maristarre. La magia della Grande Foresta è grande: è forse uno dei luoghi più magici ed antichi del Faerun, ma allo stesso tempo ha le sue leggi… e queste leggi predicano la sopravvivenza del più forte, e la soppressione di ogni possibile pericolo che sovverta quegli equilibri, pur crudeli, che hanno permesso alla Grande Foresta, ai suoi abitanti e ai suoi protettori di mantenere immutata la situazione.”
“La più potente autorità della Foresta, almeno della zona più settentrionale, dev’essere senz’altro Turlang il Saggio. E’ il druido più potente della foresta e potrei facilmente affermare uno dei più potenti discepoli di magia divina di tutto il nord. Si tratta di una creatura davvero antichissima. Come tutte le creature antiche e incorruttibili, egli non è malvagio. Anzi, potrebbe essere definito un giusto: ma la sua giustizia segue parametri imperscrutabili, e di rado coincide con la misericordia. E non ama gli incantatori arcani…”

Il quadro sembra ora più che mai complicato, e la cerca di Gandrell e Sylar disperata: una corsa contro il tempo e contro un destino che appare ben poco favorevole.
Ma è evidente che non c’è tempo da perdere, proprio per tal motivo: Lady Maristarre potrebbe essere prigioniera da qualche parte, nella Grande Foresta, le cui antiche magie possono spiegare bene come sia risultato impossibile localizzare la giovane maga con gli incantesimi a disposizione di Taern.

E’ tempo di lasciare Everlund, la Città delle Torri, alle spalle, e di cavalcare alla volta dell’ultima meta conosciuta di Maristarre: il minuscolo villaggio di Jalanthar, arrampicato sulle montagne a nord della Grande Foresta

E’ tempo di mettersi sulla strada, di nuovo.

Enigmi svelati

Posted in Cronache, Racconti with tags , , , on 8 luglio, 2008 by solidtom

Nel buio della villa ormai apparentemente deserta, tre ombre oscure si aggirano cercandosi l’un l’altra. Ciascuna è forse preda e allo stesso tempo cacciatore. Due cadaveri già giacciono al suolo, e presto ve ne saranno degli altri.
Sylar, le spade sguainate e le mani guantate contratte sull’elsa, attende nell’ombra delle stalle che il suo avversario faccia una mossa.
Gandrell, dopo un veloce incantesimo per trasformarsi in un’ombra, avanza silenziosamente, rasentando le pareti e svoltando con cautela ogni angolo, in cerca del suo compare e del comune nemico.
Infine Jarthon della Mano di Yartar, il capo della gang di ratti mannari che ha rapito la Baronessa della Acque Bellethee Auranthal, è da qualche parte nella gigantesca villa, nascosto nell’ombra anch’egli, artigli crudeli e zanne sguainate, le armi strette nelle grinfie irsute, pronto a spacciare i due avventurieri che hanno sventato in maniera così inattesa ed efficace i suoi piani.

Gandrell si affaccia prudentemente nell’atrio. Tutte le luci, persino le fioche lampade ad olio delle scale, sono ora spente. L’ampia sala a cui si accede dal portone all’ingresso è sovrastata da un ballatoio raggiungibile da due scale laterali parallele, per accedere ai piani superiori. Probabilmente, guadagnare quella posizione sopraelevata potrebbe essere un ottimo vantaggio per osservare movimenti. Senza esitare oltre, Gandrell si avvia silenzioso e praticamente invisibile nella semioscurità su per le scale.

E’ appena arrivato sul ballatoio e si sporge di sotto per una rapida occhiata, quando una grande sagoma scura sfreccia rapidissima sul pavimento del piano terra, nascondendosi poi proprio sotto di lui. Gandrell trasale: non è un uomo quello che ha visto passare. E’ qualcosa di più grande e di molto, molto più pericoloso. Trattiene il fiato e spera di non essere stato individuato: per fortuna la scurovisione e i normali sistemi di individuazione dell’invisibile non sono efficaci contro la sua magia di occultamento. Potrebbe invece essere rivelato da un’ecopercezione, o da un senso particolarmente sviluppato…
Non ha tempo di conludere questi pensieri, però. D’un tratto la creatura, che sembrava essere scomparsa alla sua vista, in un solo balzo spiccato dal piano terra ha coperto più di cinque metri di dislivello aggrappandosi alla balaustra del ballatoio di legno, che scricchiola paurosamente. In un istante si issa oltre la balaustra a pochi metri da Gandrell impietrito dall’improvviso pericolo.

La creatura si rivela ora a Gandrell in tutta la propria maestosa e terribile potenza: alta più di due metri, se solo stesse completamente eretta sulla zampe posteriori simili a quelle di un gigantesco ratto. Coperta di ispido pelo nero, la lunga coda glabra, le fauci semiaperte che gocciano un filo ininterrotto di bava fetida… eppure ha ancora qualcosa di umano, o comunque senziente: lo sguardo iniettato di sangue è quello di una creatura intelligente, e anzi mortalmente astuta, così come le armi strette in pugno fanno chiaramente intendere che c’è ancora molto della malizia e dell’abilità di Jarthon in quell’orribile ibrido mannaro.

E’ evidente ormai che Jarthon ha individuado Gandrell, anche se forse, dato che fiuta ancora l’aria in sua direzione, non ha esattamente idea di dove si trovi. Gandrell sa di avere solo un istante per provare a colpire, e poi dovrà usare una magia di allontanamento: se questa non dovesse funzionare, si troverà solo ed inerme alla mercé di quella creatura crudele.
Eppure, il coraggio del Mistico non gli viene meno nel momento in cui ne ha maggior bisogno. Stringendo forte Tocco del Ghoul fra le mani e tenendolo sollevato sopra la testa, di fronte agli occhi, decide di tentare il tutto per tutto. Giusto il tempo di fare un passo avanti e pronunciare la formula d’attivazione dell’ultimo potere disponibile nel suo bordone incantato, e un dardo di pura energia bianchissima e luminosa sibila solcando l’aria in un baleno e va a colpire il petto irsuto della bestia. La luce purissima del lampodardo penetra nelle carni scure come una lanterna gettata in un pozzo nero viene inghiottita dall’oscurità. Ma l’effetto non è davvero quel che Gandrell sperava: la creatura non sembra più che scalfita dal colpo, solo una macchia di pelo bruciacchiato e fumigante testimoniano la zona d’impatto del colpo. In compenso, ora Jarthon sa dove si trova il suo avversario, e Gandrell ha usato il suo colpo migliore.
Ora Gandrell non può sbagliare. Recita rapidamente la breve formula del suo incantesimo istantaneo di lungavia, mentre contemporaneamente fissa con lo sguardo la destinazione che vorrebbe raggiungere, oltre la porta socchiusa dell’atrio nella stanza al piano terra. Coscientemente decide di ignorare l’avversario, che lo sta caricando con un unico balzo furioso, le fauci spalancate con la lunga lingua penzolante, le armi sollevate pronte a squarciare e trafiggere. Gandrell sa che entro il prossimo battito d’occhi, sarà in salvo lontano dal suo nemico o morto, dilaniato dai suoi attacchi. E’ una questione di fortuna. Chiude gli occhi un istante prima dell’impatto fatale… E li riapre nella stanza dietro l’atrio, nell’angolo più distante dalla porta. Jarthon, a 20 metri di distanza, ruggisce e sibila per la rabbia di aver fallito il suo bersaglio che sembrava ormai così vicino ed inerme.

Frattanto, Sylar ha udito i rumori dello scontro. Adesso sa dove si trova il suo avversario, ed ha capito che Gandrell è in pericolo. Mette da parte il timore per un avversario troppo potente per le sue sole spade e si fa avanti: sa che insieme al Mistico, hanno una possibilità di sconfiggerlo.
Ha sentito il rumore provenire dall’atrio: ed è lì che si dirige. Sente ancora i passi della cratura sul ballatoio… ma di Gandrell non v’è traccia. Che sia stato già abbattuto dalla furia di Jarthon?
Il mezzodrow si schiaccia schiena contro la parete delle scale e scopre appena il ballatoio per poter capire l’esatta posizione del suo avversario. Ma, con suo massimo disappunto, Jarthon se n’è già andato.

“Gandrell?…” sussurra sperando che il mezzelfo sia a portata d’udito.
“Sylar”, risponde una voce proveniente apparentemente da un angolo buio e vuoto.
“Sono qui. Dov’è andato?”
“Non so… credo sia da qualche parte, al piano di sopra…”
Proprio in quell’istante, si ode il rumore di un vetro in frantumi, e il tonfo di un corpo pesante che colpisce il tetto dell’edificio.
“E’ lui! Maledizione, sta fuggendo…”
“La Baronessa era un falso.”
“Lo so. La vera Baronessa era prigioniera della torre… ed è lì che l’ho lasciata.”
“Ma allora Jarthon…”
“Sì. Sta andando là. Presto! Non c’è tempo da perdere! Seguimi!”

Un istante dopo, Sylar si precipita fuori nel cortile spazzato dalla pioggia, nella notte, e dirige di gran carriera verso la torre che si staglia come una mole scura contro il cielo greve di nuvole.
Gandrell lo lascia andare avanti: le sue risorse magiche sono in via di esaurimento, ed egli vuole dare la possibiltà a Sylar di attirare l’attenzione di Jarthon, e poi di usare i suoi pochi incantesimi rimamenti per aiutarlo nella battaglia. In realtà, lo scontro per quanto breve col mannaro, e l’aver scampato la morte per una frazione di secondo l’ha shockato: ha rischiato la vita seriamente già troppe volte, questa notte. Lui non è invulnerabile come lo spadaccino mezzodrow: la sua magia è la sua unica arma e la sua unica difesa, e se un avversario dovesse coglierlo impreparato…

Sylar ha un’idea precisa in mente. Sa che Jarthon si aspetta di trovare la Baronessa ancora prigioniera della sua cella improvvisata. Invece Sylar vuole precederlo, e nascondersi lui stesso nella cella: il mannaro avrà una brutta sorpresa quando entrerà nella cella convinto di trovarvi una donna inerme e vi troverà invece le lame del mezzodrow.
Senza perdere tempo, tutto d’un fiato, Sylar si introduce di nuovo nella torre, supera con rapidi balzi i corpi degli altri ratti mannari uccisi in precedenza, ormai tornati alla loro forma umana, e si infila nella cella, chiudendosi la porta alle spalle. Spera che Jarthon non subodori la trappola. Si prepara a colpire nell’ombra.

Gandrell è arrivato alla torre: la vede ora per la priam volta da vicino.
Un rapido sguardo gli indica che l’unica apertura praticabile per entrare all’interno della stessa è la finestra in frantumi sotto al porticato anteriore. Sta per avvicinarsi quando si ferma, immobile: davanti a lui, una sagoma scura e gobbuta, silenziosa e felina, sgattaiola nell’apertura. Gandrell vede la lunga coda del topo mannaro scomparire nell’oscurità… Attende qualche istante, per far sì che il suo avversario lo preceda, poi si avvicina anche lui all’apertura. Getta uno sguardo fugace all’interno. Jarthon già non è più in vista, ma sul pavimento di fredda pietra giacie il corpo maciullato di un uomo, le vesti stracciate e le armi ancora in pugno. Lo riconosce: è Brak, uno dei tre manigoldi al soldo di Jarthon. Sylar è evidentemente passato di là, si dice con un sogghigno.
Anche Gandrell entra furtivamente nella torre. Ormai, il cerchio si sta per chiudere. O Jarthon o i due agenti del Libero Nord: solo una delle due fazioni uscirà viva e trionfante da questa torre, questa notte.

Il ratto mannaro ha già raggiunto la stanza della cella.
Sylar può udirlo mentre annusa l’aria, se lo immagina col muso appuntito e le vibrisse tese mentre cerca di capire dove sono i suoi avversari. Ma l’odore del sangue versato e della muffa della torre ora lo distraggono. Ed evidentemente, anch’egli ora teme i suoi avversari…
Gandrell ormai è arrivato all’ultima stanza. Percepisce la presenza della creatura nella stanza a fianco. Vorrebbe spingerlo in trappola, verso Sylar, ma non sa come agire. Usa un incatesimo di preveggenza, con le ultime risorse magiche rimastegli: vuole figurarsi cosa probabilmente accadrebbe se ora svoltasse l’angolo e attraversasse la soglia della stanza. La visione che gli viene ispirata dall’incantesimo è quantomeno preoccupante: un artiglio nero ed irsuto lo ghermisce in volto e lo trascina verso morte sicura nell’oscurità. Jarthon è dietro l’angolo, che lo aspetta.
Ha fatto ciò che poteva, è il momento di disimpegnarsi e pensare alla propria salvezza. Così si ritira silenziosamente fuori dell’atrio, nascosto dal suo incantesimo di ombra in attesa che magari un Jarthon ferito o disattento esca dalla torre senza guardarsi intorno, per colpirlo alle spalle.

Sylar sta ormai disperando che la trappola possa funzionare.
Dalla stanza attigua non giunge più alcun rumore… possibile che Jarthon abbia fiutato il pericolo, letteralmente, e abbia deciso di non rischiare. Oppure potrebbe essere che abbia inteso dove si trovi la Baronessa, ed abbia cambiato bersaglio: dopotutto Sylar e Gandrell sono solo delle (pericolose) distrazioni, che non fanno parte del suo piano.
Il mezzodrow sta per abbassare la guardia e uscire allo scoperto quando, improvvisamente, la porta della cella si apre con uno schianto. Nemmeno il tempo di capire cosa stia accadendo che una grande forma scura balza dentro la stanza, fulminea, e rotola a terra cercando di schivare un possibile attacco.
Sylar comunque ha i riflessi abbastanza pronti da tentare il tutto per tutto, e affonda il suo colpo migliore. La prima delle sue lame passa alta sopra il muso della creatura, che già si sta rialzando per affrontare, e probabilmente sconfiggere, il suo avversario. Ma la seconda spada di Sylar sta già tracciando un arco dalla parabola imprevedibile verso la testa del mannaro. Il colpo è fortissimo anche sen non preciso, e non c’è corazza o lama questa volta a deviare l’impatto. Il sangue bagna la lama mentre, con un rumore simile a uno sbuffo rantolante, il ratto mannaro stramazza al suolo.
Sylar non crede ai suoi occhi: neppure lui si aspettava di poterne avere ragione così facilmente, e s’era visto spacciato, costretto a combattere senza via d’uscita in quella stanza minuscola contro un avversario più forte di lui. Invece, il corpo seminudo e già tornato alle sembianze umanoidi di Jarthon giace a terra ai suoi piedi. Ancora meglio, il colpo non è stato letale: il respiro di Jarthon è basso ma regolare. C’è ancora la possibilità di interrogarlo, per scoprire dove abbia nascosto la donna che cercano!

Non c’è tempo da perdere: se il mannaro dovesse risvegliarsi, potrebbe essere nuovamente un avversario pericolosissimo. Sylar allontana le armi e subito infila la testa ed il corpo di Jarthon, spogliato di ogni equipaggiamento utile, nel sacco in cui aveva lui stesso nascosto la Baronessa. Poi procede a legarlo strettamente con una corda che passi anche molte volte intorno al collo. Frattanto, chiama a gran voce Gandrell, che infine ode il suo richiamo e va per raggiungerlo.

Il loro avversario ora giace, inerme, al suolo. Prigioniero e umiliato. L’unica speranza che ha di aver salva la vita è quella di accondiscendere alle richieste di Sylar e Gandrell. Mentre Sylar taglia uno squarcio sul sacco in corrispondenza della bocca per permettere a Jarthon di respirare e parlare, Gandrell usa dei sali per rianimarlo.
Jarthon si risveglia di colpo con un singulto e una smorfia di dolore, provocata dalla ferita alla tempia che ha sparso una macchia scura di sangue sul sacco di iuta e dalle corde che lo legano stretto. La lingua tenta inutilmente di bagnare le labbra seccate dalla sofferenza e dalla paura. Sa che i suoi nemici sono lì, vicino a lui, e che lui adesso è impotente alla loro mercè. Deglutisce impercettibilmente e decide di rimanere in silenzio.

“Sei nostro prigioniero. Avrai forse salva la vita se risponderai alle nostre domande” esordisce Sylar.
“Ma chi siete maledetti? Per qual motivo vi siete messi sulla mia strada?” la voce di Jarthon è un sibilo rabbioso.
“Silenzio! Siamo noi a fare le domande. E tu vedi di darci risposte soddisfacenti!” Sylar ci va giù pesante, colpendo con la punta dello stivale il fianco del prigioniero inerme, ripetutamente. Stranamente, Gandrell non interviene per fermarlo.
“Io sono il Gran Maestro Jarthon della Mano di Yartar e del Popolo del Sangue Nero…”
“Dove si trova la donna che hai rapito?”
“La Baronessa? Dovreste averla già trovata, direi…”
“L’altra donna. Non fare il furbo!”
“Quale altra donna? Maledizione, non so di cosa stiate parlando!”
“La donna di Baldur’s Gate. Lady Maristarre.”
“Veramente non ho idea di cosa stiate blaterando. Pensate che rapisca TUTTE le donne che mi capitano sotto mano? Mal me ne incoglierebbe… solo quelle che mi servono per attuare i miei piani.”

Gandrell e Sylar sono perplessi. Non sembra che il gaglioffo stia mentendo, ora. Sapendo che non avrebbe salva la vita, non avrebbe nessun motivo di mantenere tale segreto.

“Chi via ha detto che ho rapito una donna di Baldur’s Gate per gli dei? E’ una falsa informazione!”
“Un prete di Oghma ce lo ha vaticinato. Una nobildonna era tenuta prigioniera a 100 passi dal fiume…”
“La Baronessa… l’avete trovata, per forza di cose…”
“La Baronessa non ci interessa in realtà.”
“Cosa? Volete dirmi che avete sventato i miei piani SENZA VOLERLO?”
“E’ stato, sembrerebbe, una coincidenza. A meno che tu, bastardo, non stia mentendo ancora… In tal caso noi…”
“No… NO! Non sto mentendo!”

Attimo di silenzio, poi Jarthon scoppia in una risata fragorosa che ha dell’isterico.

“Cosa c’è di così divertente, inutile rifiuto?”
“Non posso crederci… davvero…”
“…”
“E’ proprio vero che nessuno è capace di opporsi alle macchinazioni del Fato! Voi avete liberato LA DONNA SBAGLIATA! Quella che NON stavate cercando! E tutto perché… avete seguito i vaneggiamenti di un prete di Oghma! Non riesco davvero a crederci…”

Sylar e Gandrell si fissano in volto.
Per quanto assurdo, tutto ciò ha un senso. Beffardo, ma ha un suo senso. In effetti, le indicazioni fornite ad Eldenseer potevano condurre a vaticinare del destino di QUALASIASI nobildonna prigioniera ad Everlund. Il destino ha voluto che questa non fosse Lady Maristarre che loro cercavano, ma la Baronessa Bellethee Auranthal. E sempre il fato ha deciso che loro dovessero incrociare la strada della Mano di Yartar e sventare un criminoso tentativo di intrigo politico.
La disperazione li coglie: da dove riprenderanno a cercare, ora? Sono senza alcun indizio. E che fine fare a questo malvagio? Consegnarlo alle autorità sembrerebbe la cosa più giusta da farsi, ma questo perfido manipolatore saprebbe far funzionare bene la lingua. Senza alcuna evidenza dei suoi crimini se non i cadaveri lasciati da Sylar e Gandrell, potrebbe ben asserire di essere lui la vittima di un complotto, o quantomeno di non essere completamente colpevole…

Sylar e Gandrell si appartano per decidere insieme il da farsi.
“Dovremmo ucciderlo…”, dice Sylar. Nella sua voce però non vi è vera convinzione.
“Puoi farlo, se vuoi. Non mi opporrò. E’ malvagio per scelta. Malvagio nel profondo. E’ uno del Sangue Nero. Non c’è speranza di redenzione per questo malnato…”
“Perché devo farlo io? Non può farlo qualcun altro?”
“Credevo non vedessi l’ora… Stava per ucciderti! Non mi aspettavo tali scrupoli da te…”

Gandrell è davvero stupito. Non sa se essere favorevolmente impressionato dalla natura del mezzodrow che credeva crudele ed efferata o dubbioso sui suoi possibili secondi fini.
“Diciamo che mi sta simpatico…”
“Simpatico? Quell’intrigante?”
“Credimi se potessi ucciderlo lo farei con piacere…”

Gandrell rinuncia a capire. Ci sarà un’altro momento per le domande. Ora è quasi l’alba, e presto qui giungeranno altre persone. Occorre risolvere questa questione quanto prima. Detesta farlo, ma se il mezzodrow non vuole uccidere Jarthon, dovrà essere Gandrell a farlo.
Deglutisce, e afferra risolutamente la spada corta dalla lama nera appartenuta allo stesso Jarthon.

“Brutte notizie per te. Non c’è nessuna salvezza per i cuori neri come il tuo.”
Jarthon sta per replicare qualcosa… ma prima che possa proferire una sola parola, Gandrell gli affonda con forza la lama nel petto, fra le costole. La lama entra dritta nel cuore spaccandolo. La bocca di Jarthon si spalanca in un urlo silenzioso, riempendosi di sangue gorgogliante e scuro. Una macchia di sangue si allarga sul sacco nel quale è prigioniero il malvagio. Ora diventerà il suo sudario.
Gandrell ha un’espressione incredibilmente contrita in volto. Sylar lo osserva con curiosità: non sa discernere se quel volto sia disgustato per l’azione crudele che è stato costretto a compiere o semplicemente insensibile di fronte a una esecuzione così brutale. La seconda ipotesi, per quanto improbabile, gli appare ora stranamente plausibile… e lo riempie di un misto di rispetto e sospetto nei confronti dell’apparentemente tranquillo e flemmatico Mistico.
Quando Gandrell estrae la lama dal corpo, un fiotto di sangue scuro spruzza fuori dalla ferita, lambendogli il volto. La spada corta dell’assassino brandita da Jarthon era davvero un oggetto mortifero e micidiale. Con un tintinnìo secco, Gandrell getta al suolo la lama.
“E’ finita. Trova la Baronessa ora.”

Sylar deglutisce e annuisce. Non ha intenzione di contrariare il Mistico proprio ora. Proprio no.
La Baronessa è ancora rannicchiata in un angolo di una stanza al secondo piano. Stringe il pugnale fra le mani e sembra sopraffatta dal freddo, dalla tensione e dalla stanchezza.
“Baronessa, sono Sylar. E’ tutto finito, Jarthon è morto. Venite, andiamocene di qui.”

La Baronessa alza lo sguardo. Sylar si sente raggelare. I suoi occhi azzurri sono ora color porpora, brillanti nell’oscurità di un’intelligenza sovrumana. Sylar conosce quegli occhi… gli occhi del suo mentore e aguzzino: Bishop il Mentalista! Colui che lo ha raccolto, da tagliagole e brigante qual’era, e attraverso una disciplina di indicibili sofferenze e umiliazioni lo ha reso la letale macchina di morte che ora Sylar è. Colui che è scomparso un giorno nel nulla, lasciando la sua “creatura”, il suo discepolo, solo e abbandonato, con la sola ammonizione di “fare il bene ed essere una persona migliore”, o “sarebbero stati guai per lui”.
“Molto bene. Sono soddisfatto.” La voce che ha parlato non è quella della Baronessa. E’ la voce cupa e profonda di Bishop, ed ha risuonato direttamente nella testa di Sylar.

Sylar scuote la testa come per scacciare un incubo ad occhi aperti. Ma è stata tutta un’illusione. La Baronessa è lì, che lo fissa con espressione innocente e perplessa.
“Cosa avete detto?” la aggredisce Sylar sollevandola dal terreno.
“Nulla… non ho detto nulla! Per pietà, cosa vi prende?” La Baronessa sembra atterrita.
“Niente… Niente…”. Sylar la lascia cadere al suolo, abbassando lo sguardo, sgomento. “Scusate. E’ tutto a posto, venite.”
La Baronessa è ancora diffidente e spaventata, e esita prima di accettare la mano che il mezzodrow le tende per aiutarla ad alzarsi. Ma poi alla fine l’afferra.

Sylar, Gandrell e la Baronessa Bellethee tornano insieme verso la villa immersa nella penombra.
Il cielo all’orizzonte si tinge ormai di blu cobalto. L’alba è vicina.
Nella villa, solo corpi esanimi senza vita rimangono a testimoniare la furia di quello che è accaduto nella notte. Giacciono morti Jarthon e i suoi sgherri, ratti mannari della Mano di Yartar. E Semmonemily della Società del Kraken, mutaforma intrigante. E Lord Melvin Draga, Custode del Ponte e Anziano del Consiglio di Everlund. E per la sua follia omicida, anche i suoi servitori sono caduti uccisi dalla sua stessa spada: il folle forse credeva di dover eliminare ogni testimone dei fatti avvenuti quella notte. Anche il povero messaggero proveniente da Sundabar, ferito a morte, non ha potuto ricevere le cure sperate ed ha esalato l’ultimo respiro. Intorno a loro, solo morte e silenzio. E nessuna traccia della donna che sono venuti a cercare, Lady Maristarre del Libero Nord.
Davanti alla villa, lungo la strada, giungono nelle loro armature argentee e coi vessilli ondeggianti al vento del mattino gli uomini dell’Armata della Valle.

Eppure, il sole già si sta levando dietro le montagne.
Quella luce, dopo una notte di oscurità e violenza, è come un messaggio di speranza per Sylar e Gandrell. La loro ricerca deve continuare. La loro avventura è solo all’inizio.